Non è forse la vera felicità l'inevitabile fine di un artista? Il termine della sua ispirazione? Non è a causa del dolore che riusciamo a dare il meglio di noi stessi? Forse per questo ci aggrappiamo al dolore, proviamo rimorsi, conflitti irrisolti, ci arrabbiamo per futili motivi, per far rimanere in vita l'artista che è in noi, che alla fin fine è ciò che ci rende proprio noi, con la nostra personalità, i nostri modi di fare e di dire, motivo per cui abbiamo poi quelle persone, quegli amici o non, che riescono a renderci felici. Ma se è così la felicità non è forse una cosa da evitare? Da reprimere? È più saggio rimanere da soli? Isolarsi? Per non uccidere il proprio artista?
La felicità sarà vera felicità se l'artista non è con noi? E la sua morte sarà valsa la pena? O non saremmo più noi e di conseguenza smettermmo di essere felici? E se questo è vero il dolore allora è un bene? Qualcosa da seguire? Qualcosa su cui fare riferimento? Una parte di noi? O dobbiamo liberarcene, facendo morire l'artista? E causare la sua morte non significherebbe uccidere noi stessi?