Capitolo otto

204 22 0
                                    

*parte little smut*






Passarono nove giorni  da quel bacio.
Li contai.
Tae non usciva dalla sua camera; capì il quel momento cosa volesse dire l'attesa, l'attesa di un desiderio che bruciava dentro di me ogni giorno insieme al logoramento di paranoie che mi facevo ogni volta che un giorno finiva e le ore passavano.
Oltre al desiderio che in modo fallimentare cercavo di opprimere, capì che Tae si nascondeva, che non accettava quel suo essere, aveva paura; era terrorizzato all'idea di accettare la realtà così com'era. Al contrario di me che malgrado tutto avevo accetto, avevamo messo in conto tutto pur di non rinunciare alla mia libertà e questo tassello in seguito, influenzò molto la nostra relazione.
Dopo i giorni passati ritornò da me: quel giorno decisi di non andare a lavoro, dissi a mio padre che mi sentivo male forse perché avevo mangiato qualcosa che aveva scombussolato lo stomaco: Mentì spudoratamente e probabilmente lo capì anche lui ma non si rese conto del vero motivo. Decido di rimanere a casa perché ero distrutto da quel sentimento di ansia e di improvvisa inferiorità, pensai che lui forse si era pentito, che non gli era piaciuto, che avevo corso troppo, le cose si era svolte in maniera automatica e di una velocità impressionante che neanche io, nonostante il desiderio di averlo, nonostante tutto, non mi resi conto effettivamente che ormai era successo quello che doveva succedere.
Essere gay e vivere una vita normale era diverso, potevi nasconderlo, potevi non dirlo a nessuno, poteva rimanere un segreto tra te e chi avevo scelto di amare, con chi avevo deciso di condividere quel amore. Essere gay e essere un personaggio famoso, pubblico no. Avevi paura che qualcuno ti beccasse e poi? Cosa pensavano di te? Puoi perdere tutto, la fama, la dignità, il pudore; essere gay nei nostri anni era diverso e lo sapevamo, più tardi forse, alcuni capiranno che in realtà non c'è nulla di più bello di amare ed essere liberi io per fortuna lo capì subito, anche se in una piccola parte mi nascondevo anche io, ma non mi negavo il piacere di conoscere, avevo accetto me stesso. Tae ci metterà più tempo, lo so, ma lo capirà.
Fatto rimane che io rimasi a casa con quella scusa. Ero seduto al tavolo in giardino, quello solito di mia madre, mentre scrivevo una lettera a Rosy che non si dimenticava mai di scrivermi, di raccomandarsi che io stessi bene e di come procedevano le cose qui in hotel e non mancava mai quel "mi manchi" e ogni volta pensavo a quella sua confessione, a come si sentisse adesso se gli era passata quella mega cotta presa per il suo migliore amico, che non avrebbe mai potuto ricambiare e che lei capì quell'era la sua natura.
Ed io gli raccontavo tutto, tutto tranne di Tae. Quello era un segreto come quello di aver conosciuto Jimin. Rosy lo scoprirà solo più avanti, tutto questo.
Sentì dei passi provenire verso di me, non alzai lo sguardo, pensai che forse era uno dei miei genitori che era ritornato a casa pensando che era l'ora di pranzo o forse erano tornati per una piccola pausa dallo stacco lavorativo: ma quel profumo, che avrei riconosciuto tra miliardi di odori, mi fece alzare il capo dal foglio appoggiato al legno del tavolo.
Era li davanti a me, con le mani in tasca di un jeans ( erano i primi anni in cui i jeans entrarono nel mondo della moda) e una maglia bianca, per tutto il tempo che Tae restò con me qui all'hotel, pensai che il bianco era il colore che gli donasse di più tra tutti.
Avevo lo sguardo perso, direi quasi da cane bastonato, di chi aveva capito che aveva sbagliato e non sapeva come rimediare.
Non gli chiesi come era arrivato qui, non mi preoccupai se qualcuno avrebbe potuto vederci.
"Sei scomparso" riguardai le parole scritte su carta bianca mentre facevo girare la penna tra le mie dita.
"Lo so" con la coda dell'occhio vidi che si appoggiò una mano dietro la nuca.
"Non sono venuto qui per scusarmi però." Continuò.
"E allora per cosa?" Dal mio tono di voce si capiva che ero incazzato. Non arrabbiato. Incazzato nero. Avevo passato giorni infernali, cercai di dargli mille motivazioni inutili al suo comportamento, mettendo in gioco anche la mia sicurezza, pensando che non ero alla sua altezza: "chissà quanti ne avrà visti più belli e più bravi di me." Era un pensiero che mi frullò per la testa una delle tante sere che non riuscì a prendere sonno e persi tempo a rigirarmi nel letto.
Arrivai alla conclusione che io non gli piacevo. Che forse quel bacio lo aveva dato solo per una conferma, come una prova del nove.
"Sei da solo a casa?" Chiese.
"Si."
alla mia risposta, appoggio una mano sulla mia spalla stringendo il tessuto della mia t-shirt uguale alla sua.
Quel tocco, il suo tocco sulla mia pelle, ardeva come un fuoco.
Silenzio. Mentre io mi alzai dalla sedia lasciando cadere la penna lungo il mio fianco che arrivò ad appoggiarsi per terra, sull'erba del giardino.
"Jungkook" sospiro mentre eravamo uno difronte all'altro.
Le nostri fronti si toccarono ed io, rimasi immobile mentre entrambe le mani si spostarono sul mio petto.
"Voglio che tu sia mio"
I nostri occhi erano di nuovo insieme, a guardarsi.
"Però non posso essere libero come te." Mi fissava rigido mentre pronunciava quelle parole.
"il nostro-" deglutì "deve essere un'amore clandestino, un segreto."
Ecco che le mie conferme si univano fra di loro e mi diedero una risposta, una risposta che in quel momento, da un ragazzo diciottenne non fece male, ma che in seguito, capirà il danno che gli provocò quel amore segreto.
"Se tu non sei disposto, allora dimmelo. Io ti lascerò andare. Anche se sarà difficile."
Anche lui fece fatica ad accettare quelle parole, le sue parole.
Ma il patto fu stabilito.
Gli presi fra le mani la sua mascella serrata, tesa e lo baciai. Di nuovo. Quel bacio che mi mancava, mi uccideva dalla voglia matta di volerlo.
Diventò un bacio carnivoro, da quanto mi morse le labbra sentivo l'odore aspro del sangue sulle mie labbra o forse era il suo, non mi ricordavo.
Mi ricordai solo che entrammo in camera mia, in quella camera da ragazzo, che vide la mia prima volta con Tae.
Vide per la mia volta l'amore.
L'amore di due ragazzi, seppure di età differente che scoprono cosa vuol dire amarsi, attendersi, mettere in un angolo le paure. Combatterle, distruggere le proprie fortezze.
L'amore di due sessi che si prendono, che dalla foga in cui lui mi afferrò mi sentì soffocare, lo pregai di continuare quando lo sentì dentro di me, di non fermarsi. E lui non lo fece, continuò.
Lo senti gemere sulla mia pelle, mordermi, baciarmi nei punti in cui passava la sua lingua lasciando una scia della sua saliva.
Restammo nel mio letto, così stretto ma nessuno dei due si lamentò. Avevo la sua testa appoggiata al mio petto ancora non formato, da adolescente in confronto al suo, che era un uomo anche se non mostrava l'età che aveva.
Restammo così, non ci bastavamo mai a furia di baciarci, di regalarci ancora quella sensazione di piacere che solo quel sesso così bello,solo con lui lo provai. Distesi così fino al tramonto, fino a quando la paura di essere scoperti prese piede e lui se ne andò, baciandomi per l'ultima volta per quella sera.

Era il 28 luglio 1975.
Quel giorno,
incominciò la nostra storia.

The Novecento Hotel| TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora