Capitolo ventidue

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Londra 11 aprile ore 19:30

Ero appena uscito da lavoro.
Camminavo per la strada del mio quartiere, purtroppo l'autobus mi fermava in giù alla strada e quindi mi dovevo fare un bel pezzo a piedi prima di raggiungere casa mia. Quel tempo lo utilizzavo per riflettere, per pensare: almeno una volta mi capitava di pensare al hotel, a Rosy, ad Achille e sopratutto a lui. Il tempo era passato si, però lui rimaneva sempre lì, in quel angolo del cuore e della mente che usciva senza permesso, facendomi rivivere quelle situazioni che ormai erano vive solo dentro il mio ricordo.
Nel frattempo c'erano stati altri uomini, Londra era aperta, non c'era il bisogno di nascondersi, avevo tutto il mio diritto di vivere me stesso eppure sentivo che non era lo stesso. Taehyung fu una condanna per la mia vita e mi rassegnai al pensiero di non averlo più nella mia vita.
Poco tempo fa Rosy mi scrisse uno strano telegramma, mi disse che arrivò un ragazzo in hotel con i miei stessi lineamenti asiatici e che per un attimo si illuse di avermi visto entrare: ovviamente il mio cuore condannato sperò che fosse lui, che a distanza di due anni  mi stava cercando di nuovo, che era ritornato: la mia parte razionale mi disse di rimanere con il cuore e l'anima sulla realtà.
Di quel giorno, dal rientro dal lavoro, mi ricordo un tramonto stupendo di una primavera soleggiata, le cose di southwark brillavano sotto un arancione del sole che tramontava.
Mi ricordo che ascoltavo una canzone italiana che piaceva tanto a mia madre nelle prime radioline portatili che tenevo in mano ascoltando la musica per le vie londinesi, mi ricordo che era dello stesso colore del tramonto, la canzone era di Gino Paoli, si intitolava "il cielo in una stanza." E ogni volta che l'ascolto mi veniva in mente il dolce profumo di lei, del mare, e di tutti i ricordi che mi porterò per sempre dentro di me.
Mi ricordo che mentre canticchiavo quella strofa di canzone che mi piaceva tanto "Che restiamo qui, abbandonati, come se non ci fosse più niente, più niente al mondo", preso dalla canzone che mi riportava nel mondo del passato, non ci feci caso a quella testa con dei capelli neri arruffati, seduto sul mio pianerottolo di casa di una villetta a schiera divisa in appartamenti, con le mani appoggiate alle ginocchia , seduto per terra e lo sguardo rivolto verso il tappetino ingresso.
Non ci feci caso fino a quando, sentendomi canticchiare, alzò il capo e lo vidi, che era lui.
Per un attimo mi sembrò di sognare.
Si alzò di scatto ed io indietreggiai, ma poi, quando lo vidi davanti a me, con gli occhi in lacrime pronunciare un debole:"scusami", senza esitare gli saltai addosso facendolo barcollare per la presa improvvisa, e lo abbracciai sentendolo di nuovo tra le mie braccia, la mia pelle era contro la sua, di nuovo.
Ci baciammo fino a quando il cielo non diventò buio perché in quel momento non ci importò delle conseguenze, dei giornali che parleranno del addio alla carriera da musicista di Tae, ai pregiudizi, ai pettegolezzi, di chi intanto passava e ci guardava.
Eravamo di nuovo insieme, non ci importava di nulla.
Il resto è storia.

The Novecento Hotel| TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora