Capitolo cinque

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la sera stessa, appena staccai dal turno lavorativo, tornai a casa che si trovava a pochi metri dall'hotel: mio padre la costruì per dedicarsi alla sua attività, proprio dove era il giardino riservato dove mia madre trascorreva la maggior parte del suo tempo. Quando tornai, i miei genitori dormivano forse giù da qualche ora, gli chiusi la porta e andai nella mia, tolsi i vestiti e mi distesi sul letto mentre l'aria fresca della notte mi accarezzava il viso e la luce della luna piena illuminava la stanza, pensai a cosa stesse facendo Tae, se si era svegliato o ancora dormiva.
Per tutto il tempo nonostante lavorassi, pensai alle sue parole e anche mentre ero disteso ci riflettevo: "quel ragazzo era davvero un suo amico? Se invece era qualcos'altro per lui?".

La paura di essere sé stessi. Sapevo anche io cos'era: nonostante ormai avevo accettato la mia omosessualità, per me era stato un periodo difficile: nella nostra epoca era vista come un male, non eravamo accettati e perciò preferì rimanere nel mio silenzio e ammiravo chi aveva il coraggio di ammetterlo. A volte sentivo voci, commenti al riguardo che mi irrigidivano sul posto come, una volta sentì una signora seduta nei tavolini all'aperto che parlando con il marito, gli raccontava di qualcuno che conoscevano che, fu scoperto assieme ad un altro uomo; li definì "malati": mi fermai sul posto mentre passavo tra i  tavoli e mi beccai un'occhiata anche dalla signora stessa, non mi azzardai a rispondere ne dire niente, continuai sui miei passi mentre la risposta che avrei voluto lanciarle frullava nella mia mente mentre immaginavo la scena, avrei voluto dirle: "signora, il punto è che l'amore non può essere curato con una medicina, qualunque cura fosse. L'omosessualità non è una malattia ma amore." avevo quindi anni e quella frase mi segnò così tanto.

Ma era a questo che Tae si riferiva? Se era una richiesta d'aiuto da parte sua? Oppure riguardava un'altra tipo di paura?

Quella notte non chiusi occhio, forse riuscì a riposarmi per due ore scarse; rimasi a fissare la luna finché non diventò sole e mi alzai dal letto per prepararmi ad un'altra giornata di lavoro. "Chissà se oggi uscirà dalla stanza" pensai mentre mi infilavo i vestiti nonostante i miei occhi bruciassero dalla stanchezza.
Arrivai all'hotel e salutai Alfred dove era già li all'entrata, mi posizionai alla hall e notai che Achille era lì mentre sorseggiava il caffè rigorosamente amaro come piaceva a lui e leggeva un notiziario.
"buongiorno Achille"
"buongiorno!" piegò il giornale e lo rimise sulla pila di altri simili affianco a lui. "come stai? Ti vedo poco in questi giorni, e a guardarti non hai una bella c'era, non hai dormito questa notte?"
"un po'. Era il caldo"
fece finta di togliere la polvere che non c'era sul legno scuro del bancone e mi guardò.
"capisco. Cerca di riposarti okay? "mi disse ed io annuì mentre mi salutò porgendomi un pugno da battere come era suo solito fare e si voltò mentre si dirigeva verso le altre sale dell'hotel.

Nel mentre passò uno dei camerieri che richiamò la mia attenzione porgendomi un biglietto piegato, il pezzo di carta scivolò sul tavolo e lo aprì:" buongiorno! Questa sera tua madre mi ha chiesto di aprire la serata con un piccolo concerto dato che arrivano alcuni vostri amici di vecchia data, tieniti pronto. TAE" sorrisi e piegai il biglietto e lo infilai nel piccolo taschino della camicia.
"JUNGKOOK!" la voce di mio padre fece eco nella stanza e io sobbalzai.
"mi dai una mano con queste scatole? Fai attenzione dentro ci sono delle bottiglie di vino! E portale in cucina!" disse mentre si sporse nella hall a metà busto dalla porta d'ingresso.
"sì, arrivo." in lontananza sentì un grazie.
Uscì fuori nella piccola strada sterrata che portava verso l'hotel e andai verso il furgoncino dove mio padre ed altri ragazzi del personale trasportavano ad uno ad uno le scatole di legno massiccio. Ne presi una anche io nonostante il mio fisico non era al quanto paragonabile a quello degli altri ragazzi, mentre tra me e me feci questa osservazione fui richiamato da un leggero fischio, alzai il capo e con le mani tenevo stretta la scatola, con lo sguardo cercai di capire da dove provenisse quel suono e non ci badai così tanto perché vidi Tae affacciato alla stanza della sera prima, e un leggero fumo della sigaretta voleva sempre più in alto, con altra mano teneva una tazza appoggiata al ringhiera. "hai letto il biglietto?" capì il suo labiale e sorridendogli gli annuì e lui fece altrettanto: mi sentì sollevato a vederlo di nuovo raggiante, sembrava tornato tutto come prima anche se i dubbi non erano scomparsi.
Mio padre mi richiamò guardandomi e facendomi capire di darmi una smossa e per fortuna notai che non vide Tae affacciato al terrazzo, si mise a camminare al mio fianco mentre entrambi portavamo la merceria dentro la cucina.
"sono arrivati i Charles! Ti ricordi di loro? Tua madre appena gli ha accennato della presenza di Kim Taehyung hanno voluto prenotare subito una stanza e sono corsi qui direttamente dalla Francia!" mi disse ridendo: "stasera figliolo preparati! Sarà una gran bella serata! E per questo che adesso ti occuperai tu di liberare le bottiglia dall'imballaggio perché devo dare una mano allo staff personale del sig. Kim a montare sull'attrezzatura!" "va bene papà!" gli risposi mentre lui era già uscito dalla sala cucina.

Quando finì di sistemare ogni bottiglia era quasi ora di pranzo, andai verso la hall e vidi Rosy parlare al telefono mobile della reception, rimasi lì ad osservarla e quando alzò il suo volto vidi che stava piangendo: "okay mamma. A presto" abbassò la cornetta e mi guardò, mi avvicinai a lei e persi un battito quando indietreggiò ma la afferrai per la manica del vestito per non farla scappare via.

"Rosy, cos'è successo?" non disse niente mi afferrò la mano e mi trascinò via fuori dall'hotel, arrivando fino alla spiaggia dove ormai era svuotata per via dell'orario dove tutti erano impegnati a mangiare.

"Jungkook devo parlarti" cercai di dire qualcosa ma lei appoggiò una mano sul mio petto come per zittirmi.
"devo partire domani. Mia nonna non sta bene, devo aiutare mia madre, ha bisogno di una mano-" disse piangendo e continuò:" torno a Roma forse per un bel periodo."

"Rosy perché piangi? Ci rivedremo comunque, io sarò qui."

"non è quello il punto!" urlò e mi spaventai

"perché non capisci?!

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The Novecento Hotel| TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora