20.Malumore

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Batti nervosamente i piedi a terra, standomene seduta sulla panchina mentre Francesco è in piedi di fronte a me, con le braccia incrociate e la mandibola contratta.

Se si aspetta che sarò io la prima a parlare si sbaglia di grosso, visto che se fosse per me non sarei neanche qui.

Mi mordo le pellicine continuando a muovere freneticamente la gamba in un tic dettato dall'agitazione, mentre il cantante mi guarda in attesa di qualcosa.

«Allora? Mi parli per favore?»

Chiede poi di punto in bianco, restando a distanza e cercando il mio sguardo senza però trovarlo.

«Ah adesso vuoi che ti parli?»

Ribatto sbuffando una risata ironica, scuotendo la testa e facendo trapelare palesemente l'irritazione dalla mia voce.

«Quando mai non lo voglio scusa?»

Chiede confuso, e io mi domando se davvero possa non essersi reso conto di nulla.
Evito di rispondere subito solo perché devo prima trovare il mio autocontrollo e poi parlare solo quando sarò tranquilla, per non rischiare cose imbarazzanti come la voce rotta per il nervoso o i pianti isterici per la rabbia.

«Se ti devo spiegare tutto non mi interessa più»

Commento semplicemente, continuando a guardare un punto indefinito dietro alle sue spalle per non dover incrociare i suoi occhi.

«Ma perché devi comportarti così? Non puoi soltanto dirmi cosa c'è che non va?»

Chiede quasi innervosito, e le mie sopracciglia scattano in alto per l'audacia che ha questo ragazzo nello spazientirsi anche dopo aver fatto letteralmente tutto da solo.

«Se per te è tutto a posto allora va bene così»

Taglio corto, perché mi sembra davvero assurdo che dopo un pomeriggio intero senza rivolgerci parola lui si stupisca se non sono felice e contenta.
Poi chiaramente non posso dirgli che gran parte del mio nervosismo è dovuto al suo lato estroverso uscito improvvisamente con la nuova arrivata, quindi se non ci arriva da solo saranno fatti suoi.

Lui sbuffa, passandosi le mani sulla faccia e guardandomi per qualche secondo prima di rispondere.

«Posso sedermi vicino a te?»

Domanda cercando di gettare l'ascia di guerra, ma non sa che io ho appena iniziato.

«Puoi fare quello che vuoi, purtroppo non ho il monopolio di questa panchina»

Borbotto, guardando altrove, e lui alza gli occhi al cielo per poi venire comunque a sedersi accanto a me nonostante la fredda accoglienza.

Forse spera che la vicinanza mi faccia crollare, ma ho i nervi a fior di pelle da così tante ore che posso reggere a non parlargli anche per tutta la notte.

Che poi perché sono arrabbiata? Dio, gli sembrerò ridicola. Non posso dirgli il vero motivo.

Insomma, se lui non ha visto niente di strano in ciò che ha fatto forse allora siamo su due piani completamente diversi.
Forse tutto quello che avevo interpretato dai suoi atteggiamenti era sbagliato, forse non gliene frega nulla ed è pronto a sostituirmi in un secondo con una con meno paranoie.
Già, perché a proposito, io avrei dovuto resistere un po' di più ai miei sentimenti. Anzi menomale che è entrata Elena, magari è la volta buona che mi decido a rigare dritto ed evitare sbandamenti amorosi.

«Puoi smettere un attimo di pensare a chissà cosa e dirmi che ti ho fatto?»

So che vuole che mi giri verso di lui, ma io non ho intenzione che i suoi occhi mi distragga o dal mio unico obiettivo: restare arrabbiata.
Che poi non è che sia proprio arrabbiata arrabbiata, sono solo sull'orlo di una disillusione. Il che è molto peggio.

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