La scelta della prima tappa era stata piuttosto semplice: Manuel aveva suggerito Parigi e Simone aveva accettato.
Probabilmente non si trattava della decisione più conveniente dal punto di vista degli spostamenti, ma a nessuno dei due sembrava importare.In realtà, Manuel aveva pensato a Parigi perché si sentiva terribilmente in colpa per come aveva reagito quando Simone aveva provato a baciarlo quel giorno in gita, al museo.
Il più piccolo, quel giorno, gli aveva anche detto di non apprezzare quel tipo di visite guidate, ma Manuel aveva poi capito che quella era stata una semplice scusa per passare del tempo solo con lui, per cui aveva pensato che non ci sarebbe stato posto migliore del Louvre, per chiedergli scusa, e non aveva voluto dare peso alla strana sensazione che si propagava nel suo petto quando pensava a loro due in quel luogo.
Ora però non può più ignorare il fastidio allo stomaco che lo sta assalendo perché sono davvero a Parigi, per esattezza alla Gare du Nord, e Simone è davvero lì con lui, lo guarda come un bambino guarda le lucine dell'albero di Natale e lui gli vorrebbe tanto dire che dovrebbe smetterla, e guardare Parigi piuttosto.
Ma in fin dei conti lo capisce, perché la verità è che a nessuno dei due importa dell'ambiente circostante, se si trovano in compagnia l'uno dell'altro.
«Sono proprio felice Manu» gli dice alla fine, mentre si stanno avviando verso l'uscita della stazione, continuando a sorridergli come se lui fosse il responsabile di tutte le cose belle del mondo.
«Me fa piacere Simò» è la risposta di Manuel, che è davvero contento di vedere l'altro così spensierato, ma non sa cosa farci con tutte le emozioni che sta provando.
Sa solo che vorrebbe baciare il suo migliore amico in quel preciso istante, e non sa come gestire questo desiderio.
***
«Non te puoi addormentà Simò, non ce provà»
«Questo letto è proprio comodo però dai»
«Non me interessa, hai dormito trecento ore in quel treno»Manuel lo sa bene che Simone ha dormito per quasi tutta la durata del viaggio in treno, perché l'ha passato ad osservarlo, e quando la noia ha preso il sopravvento, ha anche preso il suo blocco di disegni - quello dei tatuaggi - e ha abbozzato un piccolo ritratto.
Ora però sono in albergo e Simone sembra volerci restare, cosa per lui inconcepibile.
«Io fra cinque minuti esco da quella porta e vado al Louvre, te che vuoi fà?» chiede, deciso.
Con uno scatto allora Simone si mette seduto, e lo fissa con la bocca semiaperta.
«Hai comprato i biglietti?» dice, perché non pensava che il primo giorno avrebbero fatto qualcosa che non fosse visitare la città.
«Si Simò, Manuel tuo è operativo, mica dorme» gli dice, pizzicandogli la guancia, per il semplice motivo che non riesce a tenere le mani lontano dalla pelle di quel ragazzo, nonostante non sappia comunque dare un nome a quel bisogno.
«Grande» è l'unica cosa che il cervello fornisce a Simone, che si avvia verso la porta della camera, seguendo l'amico.
«Che belle 'ste strade eh» dice dopo un po', quasi a voler riempire quel silenzio che era calato tra loro una volta abbandonato l'albergo.
«Eh ce stai proprio bene qua tu»
«Che vuol dì?»
«Che sei elegante, perfetto, ce stai bene in questa città insomma, secondo me»
«Te ce vedo un po' francese» aggiunge, con un sorriso, e Simone è certo di essere morto. Quello dev'essere un sogno, delirio post mortem, soprattutto perché l'ultima volta che aveva controllato, a Manuel Ferro i ragazzi non piacevano, mentre da oltre ventiquattr'ore non fa che riempirlo di complimenti.