Dodici, nuovi incontri.

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Scendiamo dalla macchina scambiandoci un sorriso imbarazzato e un augurio di buon lavoro.

E lo sarebbe, sarebbe un buon lavoro se non fosse per una testa con capelli castani scuro che vedo già da quì, che a chi appartiene lo sappiamo entrambi e a me viene solo da piangere.

Non ora.
Non dopo questo incontro di labbra, seppur minimo, ti prego no.
Non li voglio fare i passi verso il negozio, voglio tornarmene indietro e tornare in quella sabbia che mi ha fatto credere tu potessi essere mio ed io tuo, che al tuo fianco ci sarei stato io. Io, nessun altro.

E mi sento stupido, Dio.
Come ho potuto dimenticarmi che una volta toccato te, avrei dovuto subito lasciarti andare?.
Come ho potuto dimenticarmi che hai chi ti aspetta, che non sono quel tipo di persona che fa del male a qualcuno?.

Non avrei mai dovuto stringere per tenerti, almeno non starei così ora.

Almeno ora non mi sentirei nemmeno in colpa, per chi di noi non sa nulla.

Ora, che ti vedo fare passi incerti, perché lo hai capito anche tu chi ti sta aspettando.
Passi che si fermano a metà strada, perché il corpo si gira dall'altro lato a cercare uno sguardo che però non trova, troppo impegnato a posarsi ovunque piuttosto che vederti andar via.
Cosa che succede appena un minuto dopo.

Okkei, cosa vuoi che sia.
Un respiro profondo e posso farcela.
Posso guardarlo in faccia senza chiedergli scusa di aver anche solo immaginato fosse possibile portarglielo via e di aver sfiorato le sue labbra, perché è vero che non è partito da me, ma è anche vero che non mi sono sottratto a quel contatto.
Che l'ho voluto, sognato e forse pure sperato.
Posso guardarlo in faccia senza immaginarmi come starei io, al suo posto.

E posso non soffrire, ora che guardo entrambi baciarsi davanti ai miei occhi.
O forse no.
Forse ciò che sento è rabbia verso me stesso per ciò che provo e rabbia verso Manuel per avermelo fatto provare. È tristezza e cuore infranto per ciò che davanti al mio sguardo si sta consumando.

Deglutisco.
Che non è niente, cosa vuoi che sia.
Chiudiamo tutto e passa il malessere, no?.

Me ne sto andando dentro al negozio quando sento una voce chiamarmi
-"Simone! Ciao! Non mi hai neanche salutato!"
Mi volto piano, voglia di conversare non ne ho. Nemmeno mi avvicino, rimango fermo.
-"Luigi, ciao. Scusami ma la mattina sono sempre fuso"
una risata fuoriesce dalla sua bocca
-"Ma é pomeriggio!"
il mio naso si storce, è un meccanismo involontario che mi impongo subito di aggiustare
-"Ah già. Boh allora sarà l'aria di mare"
detto questo me ne vado, non prima di sentirlo rivolgersi alla figura accanto con un "ma che dice che qua non siamo manco al mare".
Qua,no di sicuro, Luigi.

Entro in negozio, cerco l'interruttore delle luci e lo schiaccio, dopodiché passo alle macchine e premo l'interruttore con la medesima funzione.
Una sistemata al negozio e siamo aperti, significa pensieri altrove e testa su ciò che si fa.
Significa lasciare fuori l'immagine di prima che nitida rimane, viene solo accostata.

                                           ***
Le persone impiegano poco tempo prima di riempire il negozio, del resto il pomeriggio è sempre più impegnativo: pieno di via vai di corpi che si fermano per un attimo e poi ripartono frenetici con la loro vita.
Di tanto in tanto con qualcuno mi fermo a parlare, con qualcuno un po' di più in particolare.
Con qualcuno ci sto parlando da ore.
Che tanto, il resto lo devo lasciare fuori, no?.

Sono le sei, le persone, tranne una sola, sono tornate tutte quante alla loro vita e quindi mi concedo una pausa.
Con una stanchezza insolita mi dirigo all'unica macchinetta di bevande che abbiamo in ufficio, schiaccio il tasto del caffè, seppure non lo bevo mai perché troppo poco dolce per i miei gusti, e aspetto paziente che esca.
Ho bisogno di carica.
E ho bisogno che questo caffè non esca fuori troppo amaro, spero che le palline di zucchero selezionate siano abbastanza da farmelo piacere.

Quando alzo il coperchio e prendo in mano il bicchierino fumante, realizzo che non importa quante zollette io abbia scelto: sarà amaro come lo sono le voci che mi stanno raggiungendo.
E che appartengono a chi, fino ad ora, sono riuscita a lasciare fuori.
Una sola, di pausa, mi concedo.
E a quanto pare deve essere proprio quella che si concede anche Manuel, naturalmente.

Non presto tuttavia attenzione al loro discorso, la voglia di capirne qualcosa non fa parte di me in questo momento.
Sento solo forse la parte più importante
-"Anzi sai che ti dico? Simone perché non vieni con noi?"
strabuzzo gli occhi, chiaramente non ho sentito bene
-"Come, scusa?"
-"Dai che hai capito! Vieni con me, Manuel e Chicca a bere una cosa quando staccate?"
lo sguardo di Manuel me lo sento addosso, forse spera pure, o ne ha la certezza, che arrivi una risposta negativa.
Muovo un po' il bicchierino per mescolare il caffè, con lo sguardo a seguire le piccole onde che si formano, però qualcosa nel mio cervello scatta
-"Va bene, dai"
gli rivolgo uno sguardo ed un sorriso.
Non c'è bisogno che io guardi Manuel per capire la sua confusione.
-"Perfetto! Allora a dopo"
-"A dopo, ora torno dentro, hm?!?"
tracanno in una sola volta ciò che del caffè è rimasto, butto il bicchierino e faccio per andarmene, con il palmo della mano poggiato sulla maniglia, ma qualcuno mi ferma poggiandomi una mano sul braccio.

Mi volto quel che basta per guardarlo in viso
-"Simò non devi accettare per forza...insomma...capisco..ecco, tranquillo. Non ti sentire obbligato"
Sorrido appena
-"Quale obbligato, Manuel. A me va"
Il suo sguardo è confuso
-"Ma...insomma...saremo in quattro non vorrei che t-"
lo freno subito
-"Saremo in cinque, non ti preoccupare"
E se prima era confuso, ora lo è il doppio.
Sorrido
-"Ricordi quel cliente che mi dicevi?"
silenzio, dal suo viso si capisce che impiega forza nel ricordare
-"Dai, quello che ti chiedeva di me"
ora, pare capire
-"È tutta la sera che ci parliamo, allora ho pensato che potrei invitarlo. Non pensi sia una buona idea?"
è con leggera aria innocente ed un sorriso, che rimango a guardarlo.
Toglie la mano dal mio braccio, assume una posizione quasi dolorosa per quanto dritta
-"N-cioè sì, no, non  è una cattiva idea quindi sì, è una buona idea"
-"Perfetto, allora a dopo!"
il mio palmo preme sulla maniglia, aprendo.

Il ragazzo, che ho scoperto chiamarsi Davide e che palesemente ci sta provando con me da quando ha varcato quella porta, sorride alzando lo sguardo dal bancone alla mia figura.
-"Pensavo di averti annoiato così tanto, che dalla pausa non saresti più tornato"
perché sì, prima di staccare quei cinque minuti l'ho avvertito.
La verità è che mi ha tenuto compagnia tutta la sera, mi ha fatto ridere, sentire in imbarazzo e non pensare a quei ricci aldilà di questa porta.
-"E invece ero solo a fare rifornimento di forze"
ridiamo
-"Per parlare con me, dici?"
-"Per dirti se vuoi uscire stasera con me e altre tre persone del lavoro"
ne rimane sorpreso, non credeva gli avrei mai concesso niente e sinceramente non lo credevo nemmeno io.
-"Certo che voglio!".

Bene, non mi resta che sperare vada tutto bene,
che non mi farò fregare da quei ricci e quegli occhi.
Non stasera.

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