Quindici, in segreto.

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Sono giorni che sanno di baci, i nostri.
Giorni che mi stringi il polso e poi mi appoggi al muro, al riparo nel bagno del lavoro, perché dici che tanto senza di me non ci riesci a stare nemmeno poche ore.
Che le notti non ci cibano abbastanza, aspettiamo mattine nuove che ci vengono a trovare mentre siamo corpo a corpo. Le attendiamo perché significano nuove ore da passare labbra a labbra, mano a mano, pelle che sfiora la pelle rivestita di luce all'ombra di un segreto.
Giorni dove le pause lavoro capitano sempre insieme e gli occhi non si staccano, che se le labbra non si possono baciare allora lo fanno loro, che possono farlo anche in mezzo alla folla.

Un segreto che sappiamo solo noi, custodito con ogni cellula della pelle.

È un tardo pomeriggio quando, sistemando le cose in negozio, il rumore della porta d'ingresso che si apre mi distoglie dalla mia azione.
Assumo una postura dritta e sto per sistemarmi dietro al bancone, prima di notare chi effettivamente ha varcato la porta.

Davide mi sorride.
I suoi occhi seguono lo stesso movimento delle labbra.
Rimane davanti a me, in silenzio. Solo dopo qualche secondo alza la mano in segno di saluto, che ricambio in modo sincero.

Non lo sento e nemmeno vedo dal giorno che ha dato inizio a questo nascondersi mio e di Manuel.
E un po' mi dispiace perché al suo messaggio non ha seguito una mia risposta, con Manuel con il broncio, le braccia incrociate e un sopracciglio alzato.
La minaccia è stata "se rispondi mi alzo da questo letto e me ne vado, giuro" e beh, non potevo perdere una cosa simile.

Forse è questo sentirmi in colpa che fa aprire la conversazione proprio a me per primo
-"è da un po' che non ti vedo"
-"beh, dopo la tua risposta assente pensavo fosse quello che volevi"
touché
faccio posare per qualche secondo lo sguardo aldilà di lui, che per compensare non lo toglie da me e non avvengono cambiamenti nemmeno per il suo sorriso: gli rimane lieve sulle labbra.
-"scusami, non sapevo cosa dire e-"
-"non fa niente, non mi serve una giustificazione finta"
touché per la seconda volta.

Questo potere che Davide ha di arrivare dritto senza mezzi termini mi lascia interdetto. Trovare persone così, senza filtri e paure, è una cosa che colpisce.
Ancor di più se vengono pronunciate da una voce calma, come se stesse dicendo una verità unica che però non fa male. C'è solo rassegnazione, quello sì.

Scuoto la testa e sorrido
-"Ti hanno mai detto che essere sinceri è un pregio molto bello?"
ride di una risata come la sua persona: sincera
-"Beh, allora qualcosa che ti piace di me c'è!"
le guance che si colorano di un lieve rosso, mentre la mente cerca di partorire una risposta sensata, sono tutto ciò che riceve come risposta, poiché dall'ingresso che porta all'ufficio si palesa Manuel.

Il suo, di sorriso, si spegne appena vede Davide.
Un'occhiata torva a entrambi.
-"Oh, scusate. Non volevo interrompere. Torno dopo"
si eclissa in un secondo, lasciando noi due guardarci.
Il mio sguardo dice scusa.
Il suo sembra voler dire: ho capito.
E no, io non credo proprio abbia potuto intendere ciò che nemmeno io so capire.

-"Beh, dicevamo?"
-"Le cose che ti piacciono di me, sempre ammesso che ci siano eh!"
Alza entrambe le braccia con i palmi delle mani aperte, come per metterle avanti in un discorso che sente già essere falso
-"Certo che ci sono! Il viso, ad esempio"
-"Il viso?"
-"Sì, dico la forma, gli occhi e tutto"
ride
-"Okkei, poi?"

Eh, poi?

Perché mi vengono in mente solo cose di Manuel.?.
Perché mi vengono in mente tutti i suoi nei che creano strade, il suono della sua risata, quando mi guarda, la sua barba a volte pungente, i suoi capelli casa per le mie mani?.

-"il carattere"

il carattere forte, che sembra lottare continuamente contro qualcosa che la vita gli ha imposto.
Che è pieno di amore non mostrato e tenuto in segreto.
Che porta allegria e spensieratezza anche quando c'è pesantezza.

-"e..le mani.."

quando mi afferrano e mi sento al sicuro.
Quando in contatto con la mia pelle creano onde vibranti in tutto il corpo.
Quando si arpionano ai miei fianchi nel momento dell'amplesso.

-"Va bene, mi hai convinto"
Sembro tornare ora alla realtà, perché perso in Manuel nemmeno mi ero ricordato di chi avevo davanti.

Perso in Manuel io non ricordo nemmeno me stesso.

Davide continua
-"Ascolta, non sono nessuno ma ecco solo: stai attento. Perché quando si mette in gioco il cuore ci si può far male"
detto questo se ne va, lasciando me perplesso e anche spaventato.
Non ci ha messo niente, qualcuno che nemmeno mi conosce bene, a capire la direzione del mio cuore.

Ce l'ho forse scritto in faccia, a quanto pare?.

O è solamente la scenata di Manuel ad aver fatto intendere?.

Sono ancora in tempo a fingere, se così fosse.

In ufficio mi dirigo sovrappensiero, alla fine del turno.
Manuel é lì, ad aspettarmi con le braccia incrociate e il corpo seduto su una sedia.
Ha uno sguardo che conosco molto bene.
-"Non guardarmi così"
-"Così come?"
-"Come se avessi diritto di provare appartenenza su di me"
si alza, fa passi lenti, quasi strisciati, verso di me e con le dita sfiora delicatamente le mie braccia
-"Io ne ho tutto il diritto eccome"
avvicina le labbra al mio orecchio e continua questa tortura
"di sentirti mio"
l'ultima parola la ricalca e un respiro mozzato fuoriesce dalle mie labbra.

Mi sforzo e faccio scudo con il mio autocontrollo.

-"No, se io non posso sentirti mio"
non ne vuole sapere di interrompere questa dolce tortura
-"Ti ho già detto che ti appartengo"
le dita ormai non percorrono più solo la strada delle braccia
-"Si ma-"
-"Lo lascio presto, te lo prometto"
è un respiro sconfitto quello che questa volta le mie labbra producono.
E le sue, di labbra, lo prendono come un via libera.
Cercano le mie, sono fameliche.

Siamo fiamme e acqua al tempo stesso
e mi cibo della parola "amore mio"
anche se non ne ho il diritto,
la rubo a chi la possiede.
Siamo respiri corti che si fondono, amore.
Siamo una sola cosa.

-"Manu.."
riesco a pronunciare in modo flebile tra un bacio e un altro
-"hm"
-"Manu, andiamo a casa dai"
sembra ridestarsi
-"Io al massimo arrivo alla macchina, te lo dico"

È ridendo che chiudiamo a chiave la porta e lasciamo l'ufficio.

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