Capitolo 35

375 22 3
                                    

Stiamo aspettando da mezz'ora, seduti su una delle tre sedie del commissariato. Per mia fortuna, lo sceriffo O'Donnell non è presente, ma con noi c'è l'agente Garcia che si sta affogando nei suoi dodici donut ricoperti di cannella. Continua a ripetere che la cannella fa bene, ma a giudicare dall'enorme mole del suo corpo e dal suo triplo mento, credo che dovrebbe farne un uso più appropriato.

Appoggiato sullo stipite della porta che conduce alle celle, c'è il vice sceriffo. È giovane, gentile, con occhi azzurri e capelli biondo scuro. Sta sempre al telefono, concentrato, e mi chiedo se sappia qualcosa riguardo a quello che è successo stanotte. Non ne abbiamo ancora parlato con Chris, non ne abbiamo avuto il tempo. Dopo tutto quello che ci siamo raccontati, il piccolo e irregolare interrogatorio di O'Donnell era passato in secondo piano.

All'improvviso, la porta a cui il vice sceriffo faceva da guardia, si apre, e una donna minuta, di colore, esce con un enorme cartelletta stretta tra le braccia. Indossa un paio di tacchi neri, un pantalone lungo e una giacca con diverse cerniere. Il viso è piccolo quanto il suo corpo, tondo come una palla, accentuato dai neri capelli a caschetto e dal grosso naso a patata.

«William». Si avvicina a me, tendendomi una mano. «Sono Crystal Brooks, l'avvocato di tua madre».

Chris appoggia la sua mano sulla mia coscia per un breve momento, quindi mi alzo per ricambiare il saluto della donna.

«Posso entrare?», chiedo con il cuore a mille.

«Sì, ma...». Abbassa il tono di voce e mi guarda con i suoi grandi occhi neri e lucidi. «Con tua madre siamo riusciti a trovare un accordo. Non preoccuparti», aggiunge facendomi l'occhiolino.

«Cosa significa?», chiedo sopra i suoi sussurri.

L'avvocato mi fa un cenno con la testa e poi indica la porta. «Non fate cenno alla faccenda, tua madre ti spiegherà tutto».

Il vice sceriffo si avvicina, riponendo il telefono in tasca. Fa ruotare le chiavi intorno all'indice, quindi mi fa segno di seguirlo. «Andiamo?».

I miei occhi si posano su Chris prima di andare. Mi sorride, in un vano tentativo di farmi sentire meglio, ma ho l'impressione che niente di ciò che sentirò mi farà del bene.

«Ci vediamo dopo», mima Chris con le sue labbra, e a passo lesto raggiungo la porta della prigione.

Mia madre si trova proprio lì, nella cella accanto alla finestra, seduta su una scomodissima panchina.

Quando mi vede arrivare, corre verso le sbarre, tendendomi le sue braccia.

E io le cerco, le stringo, lasciandomi avvolgere dal loro tocco risanatore.

«William, amore mio...», sospira mamma, e le nostre fronti, con fatica, si toccano tra le sbarre.

Le mani si stringono, e per un attimo chiudo gli occhi, immaginando di essere ancora a casa. Ancora al sicuro.

«Mamma...». Ho un groppo alla gola. Tutto quello che avrei voluto dirle evapora nella mia testa, come neve al sole. L'unico pensiero che sopravvive è il bisogno di lei, di rivederla a casa, di darle un vero abbraccio e far finta che nulla di tutta questa storia sia mai accaduto.

«Come sei bello... ti vedo... diverso!».

Sorrido, ma quando riapro gli occhi nei suoi, vedo anch'io una donna diversa. Sembra più magra, sciupata, trascurata. Ha una bellezza spenta che mi stringe il cuore in una morsa di spine. «Stai mangiando?».

«Sì, amore, non preoccuparti. Qui sto benissimo», risponde cercando il mio viso con le sue mani. «Tu, invece? E la nonna?».

Scuoto la testa, in un misero tentativo di cacciare via le lacrime. «Va bene, ma...». Le labbra mi tremano. «Voglio che torni a casa».

StarfallDove le storie prendono vita. Scoprilo ora