Capitolo 6

1K 67 1
                                    

Riemergo dalle tenebre, madido di sudore.

La stanza è luminosa, calda dalle prime luci del mattino. Le coperte sono tutte ai piedi del letto, aggrovigliate alla rinfusa senza un senso logico. Questo non è il mio letto e Chris sarà costretto a pulire le lenzuola.

Chris...

Mi volto, ma lui non c'è. È sparito il suo giaciglio, così come il cuscino. La porta della stanza è chiusa, ma sento dei rumori dal piano di sotto. Cosa faccio adesso? Non posso permettere che entri e mi veda in queste condizioni.

Scendo subito giù, afferro le lenzuola e butto tutto a terra. Guardo nei cassetti dell'armadio e ne trovo altre pulite e profumate. Non faccio in tempo a mettere tutto a posto che la porta si apre. Chris mi coglie in flagrante mentre cerco di inserire la fodera del cuscino. Mi sento sporco come un ladro e mi blocco di fronte al suo sguardo confuso e pieno di domande.

«Io... io...», balbetto in procinto di piangere. «Scusami... mi sono svegliato sudato... è tutto bagnato... non volevo, mi dispiace...».

«Ehi, ehi... calmati! Ci penso io».

Chris giunge in mio soccorso. Mi aiuta a mettere la fodera e mi guarda di sottecchi con un accenno di sorriso. «Non dovevi», mi dice. «Ci avrei pensato io...». Si mette a ridere. «Pensavo ti fossi pisciato addosso».

Divento rosso come un peperone. Lui se ne accorge e mi dà un colpo di cuscino.

«Se è solo sudore fa niente...», mi rassicura. «Ma stai bene? Hai avuto un incubo?».

Ripenso all'ombra ai piedi del letto. Non sembrava un sogno, era così reale... quando mi sono addormentato?

«Una specie...».

«Fai spesso incubi del genere?».

Da quando lui se ne è andato, tutte le notti, ma non ho il coraggio di dirglielo.

«Ok, qua abbiamo finito», esordisce distenendo le coperte con le mani. «Grazie per l'aiuto».

«Scusa per... il disagio».

«Non ti preoccupare, l'importante è che non l'abbia scoperto mia madre... Vuoi farti una doccia?».

Sono tentato di dirgli di sì, ma poi ripenso al fatto che sarebbe la cosa più inopportuna. Gli ho già chiesto troppo, non posso consumare anche la sua acqua.

Scuoto la testa. «No, grazie... faccio a casa mia».

«Ma dai, insisto...».

«No, ti prego... va bene così, grazie», lo incalzo abbassando lo sguardo.

«Allora tieni questa». Apre un cassetto e mi porge una maglietta pulita e profumata. «Non posso lasciarti con quella bagnata».

In effetti, ha ragione. Prendo il suo generoso dono e mi cambio di fretta dandogli le spalle. Mi chiedo perché ancora lo faccia. Sono uno stupido. Penserà davvero che sia un tipo strano.

Forse questa è l'ultima volta che ci vedremo.

«Bene, e ora giù a fare colazione!».

«La colazione?».

«Sì...», mi risponde sollevando le sopracciglia. «Sai, il pasto più importante della giornata!».

Sta facendo lo scemo, significa che è di buon umore, quindi non è arrabbiato con me. Ora che sono più tranquillo, mi accorgo dei suoi pantaloncini verde scuro e della maglietta nera. Quella poca pelle scoperta è già sufficiente a mandarmi in visibilio. Ha delle belle gambe, ricoperte da una sottile peluria bionda quasi invisibile. Le braccia sono forti mentre le mani sono magre e grandi, con qualche vena sporgente.

Scendiamo di sotto, attraversando il salotto in cui la sera prima mi sono risvegliato. Lancio un'occhiata oltre la portafinestra e vedo la piscina che mi ha avvolto nel suo oblio. Cerco di non pensarci e seguo Chris in cucina. Quest'ultima è a isola, grande e lunga quanto tutta una parete. L'odore di uova e frittura mi accarezza il viso.

Sul bancone al centro della stanza, ci sono due piatti. Sorrido: ha preparato i pancake con burro di arachidi e marmellata.

«Ti piacciono?».

«Sì...», rispondo sedendomi su uno sgabello. «Mia madre me li preparava sempre da piccolo».

«Sono contento... non ero sicuro che avresti apprezzato...», dice prendendo due bicchieri di succo di frutta e un coltello in più per me.

«Sono buonissimi», ammetto dopo un avido morso.

«Grazie!», risponde lui sorpreso. «Solitamente li fa mia madre, quando è in casa... ma ultimamente è sempre impegnata». Beve un sorso di latte dal bidoncino a lunga conservazione. «Prima fa la segretaria in biblioteca, poi le lezioni di pilates. A sera sta seguendo un corso di scrittura... a che le serve non l'ho ancora capito».

«E tuo padre?», chiedo visto che sembra in vena di conversazione.

Sospira. «Mio padre è un medico, ma lavora a Seattle, quindi lo vedo solo nei weekend».

Continua a mangiare i suoi pancake, quando il suo telefono incomincia a squillare e vibrare ogni secondo. Lo afferra, legge dei messaggi e risponde. In seguito, solleva la testa con un sorriso. «Oggi ci incontreremo a casa di Ellie per preparare i festoni per il Festival, vuoi venire? Faremo anche le prove con la band!».

Sono colto nel panico. «Devo chiedere il permesso a mia madre...».

«Ah, sì, certo...», sospira un po' deluso. «Allora mi farai sapere».

Dopo l'ottima colazione che ha preparato, Chris corre a prendere i miei vestiti. Sono asciutti, ma puzzano un po' di cloro. Sta fermo in salotto in attesa che gli porga le sue cose ancora addosso a me. Con un cenno degli occhi lo invito a girarsi, così obbedisce ritornando dal mondo delle nuvole e sospirando un «oh» con tono deluso.

Non capisco cosa voleva fare. Forse trova esagerato che io non mi voglia far vedere nudo davanti agli altri. Togliersi la maglietta di fronte a un altro uomo non dovrebbe essere così spaventoso.

Alla fine, approfitto delle sue spalle girate, tolgo il pigiama, la maglietta e rimetto addosso i miei vestiti.

Mi sento già meglio.

«Tutto bene?», mi chiede Chris titubante.

«Sì, grazie...».

«Allora ci sentiamo più tardi, ok?».

Annuisco recuperando il mio telefono e mettendomi le mani in tasca. «Chris».

«Sì?».

«Grazie davvero di tutto... ti sarò sembrato... uno stupido...». Non so come sono riuscito a tirare fuori queste parole, ma me ne vergogno subito e mi volto in direzione della porta.

«No aspetta...», alza la voce, afferrandomi il polso.

Ecco. Un'altra volta. La scossa elettrica mi pervade la pelle, sollevando i piccoli peletti lungo il mio braccio.

Chris lascia subito la presa, ma ormai sono inchiodato sul posto. «Non sei stupido...», mi dice. «Sai quante volte Kevin o Jordan si sono fatti stare male? È stato un piacere... sì beh... prendermi cura di te!».

Cazzo. Ho le orecchie in fiamme e scommetto che anche il mio viso è rosso come un peperone. Sento il battito del mio cuore nelle vene pulsanti alle tempie. Se resto un attimo ancora qui, credo che sverrò ai suoi piedi, e sinceramente vorrei evitarmi un'altra figura di merda. Non so che dire, così annuisco e mi volto afferrando la maniglia della porta.

Esco fuori. Sono le dieci del mattino e il sole ha colorato le foglie verdi del suo bellissimo giardino. Il cielo è azzurro con qualche nuvola all'orizzonte. Un leggero venticello mi costringe a tenermi tra le braccia, ma non m'importa. Scendo i gradini della veranda e proseguo il sentiero fino al cancello.

Mi fermo, mi giro. Chris è ancora lì sulla soglia di casa che mi fissa con una mano sollevata. Ricambio il saluto e mi sforzo di fare un sorriso.

Devo smetterla, mi dico. Devo smetterla di provare queste cose.

Lui è così bello, così dolce e perfetto e io... Io sono un cielo nero nelle notti accese di luna piena, sopra i tetti delle città. Un cielo vuoto. Senza nuvole e senza stelle.

StarfallDove le storie prendono vita. Scoprilo ora