Avevo cinque anni.
Sto giocando in salotto, con una macchinina. La televisione è accesa, ma i miei occhi fissano un tappeto scuro di cui non ricordo bene il colore. Mi metto vicino alla luce dell'abatjour perché ho paura del buio. Davanti a me, c'è solo il cappotto di mamma sull'appendiabiti all'ingresso. Lei è sotto la doccia.
Ho paura della porta.
Mi giro e guardo la TV. Ci sono i cartoni animati e lascio perdere la macchinina. Stare alla luce non mi fa paura.
Voglio essere un gatto, così posso saltare sui mobili. Mi alzo e mi arrampico sul divano. È bello usare le gambe per camminare. Mi butto sui cuscini e imito il gatto alla TV.
Sento un rumore.
Qualcuno sta entrando dalla porta. Ho paura.
È un uomo alto con occhiali tondi e il viso squadrato. È forte, possente e indossa una camicia.
Ha il volto scuro, non lo ricordo. Muovo le braccia agitato e scivolo dal divano, in piedi. Lui sembra strano, ma non me ne accorgo. Sono piccolo. Si avvicina, mi guarda e si toglie gli occhiali tondi.
Mi saluta. Mi sorride. Mi bacia sulle labbra con affetto e arriccio il naso.
Dietro la schiena ha un pacco per me, un regalo.
Cerca di non farmelo vedere, ma è troppo tardi, quindi sorride e mi porge una busta. Dentro, una scatola, grande abbastanza per infilarci un paio di scarpe.
«Ti piace?».
Papà mi aiuta ad aprirla. Sono gli occhi azzurri di un bambino in miniatura. Ha i capelli castani, come la mamma, e un sorriso ampio ma spento. Indossa un vestito nero, sembra un ninja.
Non parla.
Non si muove.
Credo sia rotto.
«È una bambola», mi dice l'uomo. «Ci giocheremo insieme».
La prendo in mano e non so che farci. Ma l'uomo è felice, quindi sorrido e la scuoto.
Mi avvicino a lui, ho voglia di toccarlo, ma non me lo permette. Si sbottona la camicia, mostrando un ciuffo di peli sopra il petto. Mi fa cenno di avvicinarmi e io avanzo felice.
Poso la bambola sul divano accanto a lui, mi prende in braccio, mi stringe portandomi al petto. Avvolgo le mie mani intorno a lui e voglio solo sentire il suo amore per me.
Non ho occhi che per lui e lui non ha occhi che per me.
Mi mette un dito sotto il mento e mi solleva il viso. Non ricordo che espressione avesse, ma ricordo le sue labbra sulla mia guancia, la sua barba che mi pungeva e un calore che non dimenticherò mai più.
STAI LEGGENDO
Starfall
Roman d'amourBill non ama essere toccato. Non ama parlare, né stare in mezzo alla gente. Sulla sua pelle ci sono ancora le cicatrici di un passato recente, il ricordo e la paura che ciò che è finito potrebbe ritornare. Ogni notte cerca di combattere i demoni nel...