Capitolo 22

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Tornato il giorno, sono tornate anche le paure. Ieri è stata davvero una giornata strana. Primo risveglio tra le braccia di Chris, poi la notizia del ritrovamento del cadavere di mio padre. Infine, quella strana uscita nella periferia di Seattle. Nel complesso, non è andata male. Chris è stato perfetto. Mi ha trascinato fuori e mi ha fatto dimenticare tutto il dolore. Ma stamattina è ancora lì, e io schiavo del suo comando. Sento freddo e le coperte sono l'unico conforto che mi resta.

Il telefono vibra. Chris mi ha mandato il buongiorno e ha aggiunto un cuoricino blu. Le nebbie intorno al mio umore si diradano e anche se il tempo non promette bene, mi chiede di uscire. Non voglio dirgli di no, così salto fuori dalle coperte e mi metto qualcosa di pesante addosso.

Quando scendo in cucina, nonna Kathy sta preparando i pancake e mamma pulisce il salotto.

«Buongiorno», mi salutano entrambe.

«Ciao mamma...».

«Bill, ho fatto i pancake!», annuncia nonna Kathy.

Mi avvicino al suo dolce sorriso mattutino, ai suoi occhi cerulei che mi vogliono trasmettere tanta gioia e serenità.

«Chris sta venendo a prendermi».

«Dove andate?», chiede mamma curiosa.

Addento un pancake. «A fare una passeggiata».

«Ma il tempo non è tanto buono, pioverà!».

«Porteremo l'ombrello», ribatto con un sorriso.

Finisco la mia colazione con un succo all'arancia e mi dirigo all'ingresso per mettermi le scarpe. Chris mi manda un messaggio che è quasi pronto, ma voglio anticiparlo ed esco prima di casa.

Ho questo strano moto nel petto, questa forza che mi spinge verso di lui. Non voglio dire a mamma come mi sento, voglio tenere questi sentimenti ancora per me. Devo capire, devo esplorare, ma soprattutto devo distrarmi. Ripenso agli occhi neri dello sceriffo O'Donnell, alle sue scomode domande dell'altra mattina e non voglio che questo condizioni il mio stato d'animo.

Incontro Chris a metà strada. Lui sorpreso mi sorride e mi abbraccia.

«Stavo per venirti a prendere».

«Abitiamo a due passi», gli faccio notare.

«Okay, andiamo?», mi chiede facendomi strada.

Annuisco e iniziamo a passeggiare sotto le fronde degli alberi di pesco. Una brezza leggera scompone la loro chioma di petali rosa e sono felice di aver indossato un maglione più pesante.

«Come stai?», mi chiede Chris.

Non amo particolarmente questo clima, ma va bene così. Preferisco quando il sole si affaccia tra le nuvole e risveglia il colore degli alberi e dei fiori, lasciando un tiepido bacio sulla pelle.

Adesso sembra tutto un po' spento, avvolto in quest'aria grigia e smorta che tuttavia porta con sé un sapore di terra tra le dita. Sento l'umidità nell'aria mentre passeggiamo tra le vie di Heaven's Hill, incamminandoci verso qualunque luogo sia in grado di attirare la nostra attenzione.

«Tutto bene», mi limito a rispondere.

Non so perché trovo così difficile dire di più, ma parlare non è mai stato un mio cavallo di battaglia. Preferisco i gesti alle parole. Le parole sono complicate, difficili da comprendere e a volte terribili da pronunciare.

Ci sono tante cose che non ho ancora esplorato, scorci colorati, villette a schiera di un rosso vino e il grande campo sportivo che circonda la scuola superiore della città. Tra le fronde degli alberi, odo il cinguettio di un uccellino. Mi perdo per qualche istante nel suo canto, prima di accorgermi di una corona di fiori alla fine della strada. Sembra quasi un monumentino, una tomba simbolica, di quelle che si trovano sul ciglio della strada, lì dove si è consumata accidentalmente una vita.

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