Capitolo Quindicesimo

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I giorni passavano, la situazione non dava traccia di voler cambiare. Per l'ennesima volta i due ragazzi erano seduti a pranzo circondati dai loro amici, senza calcolarsi più di tanto, e quasi nessuno coglieva la fragilità della situazione. Em ridacchiava con Kaden che prendeva in giro un insegnante, raccontandogli come lo aveva spostato di banco durante il compito di inglese solo perché gli aveva risposto a tono.

Floyd, Elle e Mason stavano chiacchierando, mentre Aaron e Bentley ripassavano letteratura insieme a Jill e Victoria per il compito in classe dell'ora seguente. Aubrey e Tate stavano bisbigliando tra loro, entrambi con due espressioni molto serie in viso. Da quando Aubrey aveva parlato con Em e poi con Elle, qualche mese prima, le cose sembravano essere degenerate. Non solo era ancora preoccupato per i sintomi di Em, quali il pallore del viso, una serietà e una riservatezza più pronunciate del solito, ma sentiva anche una certa tensione nell'aria tra lui e Elle. Li aveva sempre visti molto affiatati e da qualche tempo invece sembravano terribilmente distaccati e le poche volte che comunicavano lo facevano quasi meccanicamente. Anche Tate si era accorto che qualcosa non andava, ed era lui stesso ad aver aperto l'argomento con Aubrey. Risolsero che avrebbero dovuto parlarne con Em, anche se Aubrey aveva avuto poca fortuna la volta precedente. Proprio per questo, fu Tate a offrirsi di provare a fare breccia nel muro che l'amico aveva eretto negli ultimi mesi: qualche ora dopo, alla fine della lezione di matematica avanzata, chiese a Em di accompagnarlo a prendere un caffè al bar della scuola prima di andarsene ognuno a casa propria.

Tate era ora seduto in una delle scomode poltrone della caffetteria della scuola, con un caffè fumante appoggiato sul tavolo di fronte a sé, mentre Em si stava avvicinando con una crema al caffè in mano, per poi accomodarsi di fronte all'amico. Aubrey li aveva lasciati per via di un impegno, altrimenti l'avrebbero invitato a unirsi a loro. Entrambi i ragazzi iniziarono a gustarsi la loro bevanda in tranquillità, parlando inizialmente del più e del meno.

- Non ho potuto fare a meno di notare che tu e Elle non state attraversando un bel momento. - intervenne distintamente Tate dopo qualche minuto.

Em s'irrigidì istantaneamente e Tate lo notò subito.

Em non era stato mai in grado di mentire a Tate. C'era qualcosa di troppo intenso nei suoi occhi ambrati, o forse era semplicemente la sua personalità spavalda. L'unico modo che aveva Em per mentirgli era di omettere la verità, una cosa che odiava fare, se anche costretto dalle circostanze. Non c'era Aubrey a soccorrerlo. E, a giudicare dagli sguardi complici e i mormorii che si erano scambiati Tate e Aubrey quella mattina, qualcosa gli diceva che quest'ultimo non gli avrebbe dato manforte questa volta.

Cercò di far finta di non aver capito, una strategia che non sarebbe durata a lungo ma gli avrebbe dato il tempo di formulare qualcosa, di trovare un appiglio a cui aggrapparsi magari.

- Cosa intendi? – chiese rigidamente all'amico.

Tate sapeva cosa stava facendo Em, e se lo aspettava. C'era qualcosa che lo intimoriva riguardo alla situazione di cui stava chiedendo notizie. Fino a poco più di un mese prima Em ed Elle gli erano sembrati fino troppo intimi. In maniera agghiacciante. Era certo che nessun altro se ne fosse accorto, e l'unico che forse poteva intuirlo a parte lui era Aubrey. 

Si conoscevano dall'infanzia, tutti e tre. E conoscevano da sempre persino Elle. Il fatto che i due andassero così d'accordo a scuola poteva dirsi normale... c'erano fratelli e fratelli. 

Ma la cosa davvero peculiare era che passassero tutto quel tempo insieme anche fuori da scuola, e anche che sembravano trattarsi con fin troppo affetto, che se prestavi attenzione li vedevi spesso bisbigliare tra di loro, in maniera dolciastra, graziosa, come fanno gli innamorati. 

Tate si era già fatto due domande in passato. E adesso si sentiva pronto a indagare più a fondo su un sospetto che credeva essere fondato.

- Fino a un mese fa andavate d'amore e d'accordo... - riprovò Tate dopo qualche secondo di silenzio titubante.

Em lo squadrò un attimo. Si chiese dove volesse arrivare Tate. Ebbe paura. Chiuse gli occhi un istante, si resse la fronte con una mano, come se cercasse di riflettere, o anche prevedere cosa intendesse fare il suo amico. Poi aprì gli occhi - Abbiamo avuto una discussione. – fu la sua risposta.

- Voi non avete discussioni. – disse solo Tate.

- Lo so. – rispose Em con voce spossata. Tutto in lui sembrava urlare stanchezza: dai solchi che aveva per occhiaie; al viso, normalmente colorito, ora quasi cereo; ai lineamenti del viso tendenti a incresparsi più facilmente del solito. Era come se stesse combattendo un demone più grande di lui.

- Em - Tate esitò, forse non era il suo posto dopotutto – C'è qualcosa che non va. Sei spesso irrequieto... per non parlare della tua faccia. Sembra tu abbia visto un cadavere. Da settimane. Non ti ho mai visto così -

Em non disse nulla, irrigidì la mascella così duramente che Tate ne sentì il rumore al contatto coi denti, distolse i suoi occhi turbinosi dallo sguardo intenso e sviscerante di Tate.

- Sai che puoi dirmi tutto, vero? Qualsiasi cosa stia succedendo con tua sorella, non ti giudicherò–

- Non sta succedendo nulla con mia sorella – lo interruppe Em bruscamente, lo sguardo improvvisamente tagliente, in un tentativo di avvalersi dello sdegno che stava provando per celare l'angoscia che gli stava trafiggendo le vene. Non era stato abbastanza attento. Tate aveva sempre decifrato qualsiasi maschera aveva indossato, e con ben più successo di Aubrey. Avrebbe dovuto prevederlo. Era stato davvero sprovveduto.

E difatti fu in quel momento che Tate seppe per certo che le sue supposizioni erano fondate. Sentì un peso al cuore. Fu colto da una profonda ondata di preoccupazione per Em, e per Elle, sentì un immenso scombussolamento, ma soprattutto capì che sarebbe sempre stato accanto a loro.

- Ma vorresti che succedesse qualcosa – non era una domanda. Em lo fissò sbigottito. Una dose di adrenalina gli si riversò nel sangue, pronta a ribollire in caso di conflitto verbale o fisico. Non sapeva che fare di preciso e di certo non voleva picchiare il suo amico di infanzia, ma Tate lo stava tentando.

Tate alzò le mani – Dovrete fare attenzione, prendere le giuste precauzioni... -

- Cosa stai dicendo? – gli disse Em incredulo, sentendo l'agitazione salire e scalpitare più di prima.

- Sto dicendo che non sono contrario. – gli rispose Tate tranquillamente.

- No, ma che stai dicendo? – gli ripeté Em – Sei fuori di testa. –

- Lo so, ero sorpreso anche io dalla mia reazione quando l'ho capito... ma sono convinto che non si sceglie chi si ama. E non ho intenzione di perdere né te né Elle, né di mettervi i bastoni tra le ruote. – disse Tate scrutando ancora una volta Em.

Em lo guardava a sua volta, gli occhi spalancati, incredulo, tremante, i pugni chiusi così forte che le nocche gli si erano sbiancate. Non ci poteva credere, non ci voleva credere. Tate gli stava dando il suo benestare. 

E non avrebbe mai potuto immaginare che una cosa apparentemente così piccola avrebbe contato così tanto per lui. 

Voleva piangere. Si era sentito così solo. Voleva piangere per la gioia, per la disperazione, per rilasciare un po' di quell'adrenalina che gli si era accumulata in corpo.

Non lo fece, ma si nascose il viso dietro le mani e fu solo quando Tate gli si avvicinò per dargli un abbraccio confortante, che si lasciò andare a qualche lacrima amara, prima di asciugarle frettolosamente e rimanere abbracciato all'amico per qualche secondo in più.


***Non sono sicura di essere convinta di questo capitolo, ma credo di non essere sicura di un capitolo da... i primi capitoli che ho scritto praticamente. A questo punto suppongo che dubbi e incertezze siano parte integrante di questo lungo processo.***

Un amore impossibileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora