Il mattino dopo, Emmanuel aprì gli occhi e si trovò il volto beato della sorella a dieci centimetri dal suo stesso viso. Quanto è bella fu il primo pensiero che gli balenò in testa. I capelli biondi, chiarissimi, le contornavano il viso disordinatamente. Le ciglia scure chiuse fermamente, le guance candide erano leggermente tinte di rosa, le labbra rosee a ricordare un cuore. Aveva davanti la perfezione. E doveva allontanarsene.
Fece per togliere le coperte e spostarsi, gli occhi ancora fissi su quel volto angelico, quando si ritrovò a guardare la profondità degli occhi verdi di Axelle. Non distolse lo sguardo, ma avrebbe voluto, il collo gli arrossì lievemente per l'imbarazzo. Fu lei a bisbigliare:
- Sei stato male ieri. – un'affermazione. Lui esitò, poi annuì.
Sua sorella non aggiunse altro, e lui si sentì di dover spiegare qualcosa. Ma non sapeva cosa dire.
La consapevolezza della grandezza del suo amore per Elle lo stava distruggendo. Come spiegare una cosa simile? Poteva spiegarla proprio al suo oggetto del desiderio? Ovviamente no.
- Non so bene cosa sia successo. – mentì – forse era qualcosa che ho mangiato. –
Fu lei ad annuire sta volta, credendo anche lei fosse una possibilità plausibile.
- Ti va di fare colazione da Narciso? – gli domandò invece un attimo dopo. Lui acconsentì, anche se avrebbe preferito chiudersi in camera e non uscirne più per nessun motivo pur di non dover affrontare quello che stava passando.
Si preparò. Un maglione vermiglio, jeans nero, Dr. Martens ciliegia, giacca di pelle.
Uscì dalla camera e ritrovò Axelle in sala, deliziosa come sempre in un tubino nero, calze a rete, Vans verdi, giacca, capelli attorcigliati in una cipolla poco stretta. Lei lo guardava con occhi grandi e luminosi, innocenti, gli sorrise. Le tornarono in mente le emozioni provate la sera prima, ma le scacciò via dai suoi pensieri. Per quanto se lo volesse mangiare con gli occhi, non voleva lasciarlo vedere ancora. Sperò non si vedesse, ma realisticamente chissà quante volte la vista di suo fratello le aveva scaldato lo sguardo.
Il Narciso era una caffetteria ampia e confortevole, circondata da spaziose vetrine che raggiungevano il soffitto. Piena di tavolini circondati da poltrone di pelle – se appoggiate al muro - e sgabelli di pelle color camoscio. Il pavimento era di marmo quasi beige, e il muro color sabbia chiara complimentava bene lo spazio. Anche il bancone da bar era ricoperto di marmo, ma ben più chiaro della pavimentazione.
Il barista che li servì era disponibile e caloroso e avevano l'abitudine di conversarci brevemente quando lo vedevano. Axelle, seduta scompostamente su una delle poltrone, addentò il bombolone ripieno di nutella e bevve un sorso di cappuccino subito dopo. Emmanuel aveva preso una ciambella e un caffè, e li stava spizzicando molto lentamente, continuando a entrare e uscire dai suoi pensieri. Axelle non ci fece molto caso, si limitava a gustare la sua colazione con aria divertita e entusiasta. Solo quando ebbe finito cominciò a punzecchiare suo fratello.
- Dove sei ora? – gli chiese scherzando, anche se forse avrebbe potuto usare un tono più serio, considerato che ultimamente le capitava spesso di vederlo assente.
Emmanuel non capì, e la guardò curiosamente seppur interdetto.
- Sembri perderti spesso nei tuoi pensieri – gli spiegò Elle – Non so bene da quanto, ma è qualcosa che ho notato solo recentemente. –
Lui dapprima non disse nulla. Come iniziare solo ad accennare a sua sorella che cosa lo affliggeva? Il desiderio che riusciva a stento a ignorare, che gli riempiva la testa tutto il giorno, ogni volta che la vedeva ma anche quando era da solo o in compagnia di altri. C'era solo lei, per lui, sembrava.
La possibilità di perderla per sempre, se mai avesse saputo cosa provava per lei, lo spaventava a morte. Non doveva mai saperlo. Non avrebbe mai neanche solo rischiato di rovinare la relazione perfetta che avevano adesso. Ma soprattutto, anche solo considerare di spiegarle la situazione gli faceva venire il voltastomaco. Si vergognava profondamente per ciò che provava, si trovava raccapricciante. Stava vivendo un incubo agghiacciante e sperava solo di svegliarsi presto.
- Em? – Elle gli aveva preso la mano, la stringeva tra le sue, tiepide e morbide. Lo osservava preoccupata, gli occhi grandi, le sopracciglia sollevate – Stai bene? –
Lui la studiò solo un attimo, e poi finalmente rispose: - Scusami. È solo la scuola... ci stanno sfinendo. Dicono che l'anno prossimo sarà dura, che dobbiamo fare il più possibile adesso per essere pronti alla maturità, ma è solo una scusa per riempirci di compiti e fissare tutti i compiti in classe in una settimana come sempre. –
Axelle parve convinta da questa spiegazione, e attese che continuasse.
- Poi c'è la partita di sabato prossimo, siamo contro Bergamo.. l'anno scorso ci hanno distrutto. – concluse Em. Erano cose che lo turbavano davvero, ma non così tanto, soprattutto rispetto al vero problema.
- Vedrai che andrà bene. Certo, io non frequentavo classi avanzate come te l'anno scorso, ma ci hanno tartassato comunque e quest'anno stiamo andando piuttosto spediti. È pesante, devo essere sincera... soprattutto col fatto che non riesco a studiare più di tanto – Elle aveva già parlato abbondantemente del suo improvviso rifiuto dello studio, d'altronde non era una cosa che si ignorava facilmente: lo studio era stato per Elle una parte consistente della sua vita, insieme alla danza.
Era qualcosa in cui aveva sentito di doversi far valere fin da bambina. Forse semplicemente fin da bambina aveva voluto, persino dovuto, dimostrare di contare qualcosa, forse adesso non serviva più farlo e una parte di se stessa cercava di farglielo comprendere. Forse doveva capire che non occorreva più dimostrare niente a nessuno, che la sua persona bastava così com'era, che aveva valore intrinseco e imprescindibile da ciò che faceva.
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Un amore impossibile
RomantiekMi chiamo Axelle. Ho diciotto anni, frequento l'ultimo anno di liceo, sono una ballerina classica. E ho un segreto. Provo dei sentimenti per una persona con cui non potrò mai stare. È disgustoso, lo so. Ma questi pensieri non svaniscono. Penso di...