Toni's pov
In questi anni, avrei voluto non poter guardare il mondo che mi circondava. Avrei voluto chiudere gli occhi per sempre e non guardare in basso. Non vedere il mio cuore posseduto dall'abbandono, un' altra volta. Non vedere degli occhi apatici che mi guardavano solo dall'esterno, senza cercare di entrarmi dentro, senza cercare di leggere le mie parole interiori sbiadite dalle lacrime, eppure così visibili agli occhi di chi volesse vedere. Non vedere le sue spalle mentre si allontanava da me. Non vedere mio padre che si materializzava dentro un'altra persona, convincendola che io non valessi effettivamente niente, convincendola ad abbandonarmi come un relitto che precipita negli abissi del mare e che nessuno cerca di risollevare. Non volevo vedere e non volevo rispondere a quelle domande che di nuovo avevano intasato la mia testa e quando pensavo che non sarebbero mai tornate, eccole lì, a sbattermi in faccia decine di dubbi. Cosa ho fatto di sbagliato? Perché mi ha lasciata andare anche lei? Perché? L'urlo doloroso di quel giorno alla fermata è tornato, questa volta rimbombando come un'eco che mi faceva vibrare tutto il corpo alla follia. Ho deciso fin da subito di non dare a risposta a quelle domande. Vivono dentro di me da tantissimo tempo, ancor prima che nascessi, perciò possono aspettare ancora. Se io sto ancora aspettando per la felicità, perché queste dannate domande non possono fare una pausa dall'intasare la mia testa facendomi impazzire? In questi anni ho tirato sospiri che al posto di alleggerirmi il cuore, lo hanno appesantito. Lacrime che al posto di liberarmi dal dolore, lo hanno fatto aggrappare ancora di più al mio essere. Urla che al posto di farmi ribollire la rabbia che ho sempre tenuto dentro, mi hanno fatto precipitare nell'oscurità più assoluta senza farmi mai più uscire. Eppure i miei sogni sono sopravvissuti o meglio, li ho fatti sopravvivere, rincorrendoli quando sembravano scivolarmi dalle mani come l'acqua. Li ho rincorsi fino all'ultimo respiro e perché? Direbbero le persone. Perché non lasciare tutto il passato alle spalle e ricominciare da capo, con nuove aspirazioni, nuovi sogni, senza restare nel passato che non ha fatto altro che distruggerti? Semplice, l'ho fatto per la bambina. Quella piccola bambina che sorrideva per ogni cosa, a partire dallo scarabeo trovato per strada, alla cassiera del supermercato che le regalava sempre una caramella. Ho lottato e lotterò sempre per quel sorriso. Per quel sorriso di quando vedeva le sue coppe vinte dopo duro lavoro, dopo decine di allenamenti ai quali correva con un sorriso a trentadue denti. Poteva giocare con quel dannato pallone per ore. Non le riusciva qualcosa? La rifaceva fino ad impazzire. Ed ecco perché quando la gente mi chiede se vivrei di nuovo quel dolore per essere quella che sono adesso, rispondo di sì senza neanche riflettere. Perché i sogni di quella bambina andavano realizzati. Perché lei ci sperava così tanto, piangeva così tanto quando qualcosa non le riusciva, eppure continuava a provarci, come un piccolo carro armato invincibile. Glielo dovevo. Con tutta me stessa. Voleva diventare una delle migliori giocatrici di pallavolo. E lo è diventata. Spero lei possa essere orgogliosa di me. Mi siedo sulla sabbia, ammirando il mare che mi si presenta davanti. Los Angeles è l'unica che si è meritata il mio amore in questi tre anni, abbracciandomi ed asciugandomi le lacrime. È stato quell'amore a prima vista che è maturato giorno dopo giorno. Los Angeles è stata semplicemente presente. Presente quando volevo raderla al suolo a causa della mia rabbia, presente durante le mie vittorie, presente in tutto quello che facevo, senza chiedere niente in cambio. Il 15 giugno è arrivato. Il giorno che più di tutti mi fa piegare in ginocchio, ogni anno. Il giorno dove mi permetto di abbassare tutte le mie difese e piangere. Piangere fino a quando gli occhi non mi bruciano talmente tanto da dover smettere per forza. È l'unico giorno in cui piango. Assurdo vero? Permetterselo solo una volta all'anno. Eppure, ho deciso che le lacrime non sono semplicemente delle gocce d'acqua. Sono emozioni, sono la nostra persona, racchiudono quello che prova il nostro cuore, per questo sono così preziose, quindi sprecarle per una persona che ormai non è neanche più nella nostra vita è inutile. Non cambierà niente. Osservo quel tramonto stupendo che mi si presenta davanti. Il cielo. La mia cura, ogni giorno. C'è sempre, lo guardi e lui ti guarderà a sua volta, sorridendoti e convincendoti ad andare avanti. Vale la pena di vivere per vedere quelle sfumature, quei colori che neanche le foto possono rendere? Decisamente.
Il cielo non può essere neanche descritto, così immenso, così bello.
Respiro l'aria fresca del mare, abbracciandomi le gambe e poggiando il mento sulle ginocchia.
Sono migliorata? Nella vita? Mi porto una ciocca dietro l'orecchio, come a rassicurare me stessa che sì, mi sto migliorando giorno dopo giorno. Sono scesa da quelle scalette che mi sono prefissata da sempre. Sono scesa dalle scale del silenzio e nessuno se n'è accorto. Nessuno ha notato il caos che ha iniziato a far parte di me non appena ho oltrepassato il confine delle mie parole non dette. Quelle parole che all'improvviso hanno iniziato a prendere vita, stanche di essere sempre messe da parte. Hanno iniziato a urlare, vantando la loro libertà appena acquisita, ed io non ho fatto altro che concederle il comando. Ho urlato. Per la prima volta nella mia vita. E nessuno mi ha sentito. Perché nessuno c'era. Ho urlato che è impossibile dimenticare qualcuno che ti ha dato così tanto da ricordare. Ho urlato che ho finalmente capito che solo noi possiamo decidere l'evolversi del nostro essere e se non lo facciamo noi, nessuno lo farà mai al nostro posto. Ho urlato proprio perché non c'era nessuno ad ascoltarmi e potevo finalmente essere me stessa, anche se da una parte speravo che qualcuno si catapultasse nella mia vita, mi guardasse negli occhi e mi sentisse. Eppure nessuno lo ha fatto. Strizzo gli occhi bagnati e sento il telefono vibrare. Lo prendo pensando sia Eric che mi dice il risultato della loro partita, invece è solo il sito delle news sportive che ogni volta mi manda le solite notifiche. Mi dimentico sempre di disattivarlo. Clicco sopra il messaggio per poi andare sul sito e disattivare i messaggi spam, quando la notizia di qualche ora fa mi colpisce come una secchiata d'acqua fredda in pieno inverno. Spalanco piano gli occhi, capendo che quello che un tempo era l'impossibilità ora è possibilità e anzi, realtà. Mi tremano le mani e mi maledico per questo. Mi maledico per la distruzione che nonostante tutto è ancora dentro di me. La distruzione è così potente che non può essere aggiustata, è come una bufera spaventosa che lascia dietro di sé un sentiero di completa devastazione. C'è distruzione negli oggetti che si rompono, nelle calamità naturali e nelle persone. Le persone portano distruzione. Una volta che le hai amate per esempio, non se ne andranno mai dal tuo cuore. E se cerchi di eliminarle, se ne andranno solo per qualche istante, sbiadendo e poi tornando nitide come non mai. O si lasciano amare o ti distruggono. E nonostante tu debba odiarle per questo, non ci riesci. Anche se sono sparite dalla tua vita, ti faranno fare pazzie di ogni tipo. Ed io sono piena di pazzia, fino al midollo, tanto che, in men che non si dica, mi lascio il mare alle spalle e corro verso una delle poche persone nelle quali posso trovare conforto.
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How she destroyed me
Teen FictionSequel "this is the story of how she saved me". "Antoinette Topaz si aggiudica il primo posto come alzatrice nella classifica mondiale di pallavolo. La sua squadra approda ai mondiali e se dovesse vincere diventerà la miglior squadra mai esistita. L...