La morte di Didone

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""Sole, che illumini di raggi tutte le opere delle terre,
tu pure mediatrice e consapevole di questi affanni,
Ecate ululata nelle città nei trivi notturni
e Dire vendicatrici e dei della morente Elissa,
accettate questo, volgete ai malvagi la giusta vendetta
e ascoltate le nostre preghiere. Se è necessario che l'infame
persona tocchi i porti e navighi su terre
e così chiedono i fati di Giove, questo traguardo è fisso,
però oppresso dalla guerra d'un popolo fiero e dalle armi,
esule dai territori, strappato dall'abbraccio di Iulo
implori aiuto e veda le indegne morti dei suoi;
né, consegnatosi sotto leggi di iniqua pace, goda
del regno o della luce desiderata, ma cada
prima del tempo ed insepolto in mezzo alla sabbia.
Questo prego, verso questa ultima frase col sangue.
Poi, voi, o Tirii, trattate con odio la stirpe e tutto
il popolo futuro, ed inviate alla nostra cenere questi
regali. Per i popoli non ci siano alcun amore e patti.
Sorgi tu, un vendicatore, dalle nostre ossa
sì, insegui i coloni dardanii col ferro e col fuoco,
ora, dopo, in qualunque tempo si daranno le forze.
Prego lidi opposti a lidi, onde a flutti,
armi ad armi: combattano sia loro, sia i nipoti.
[...]
Dolci spoglie, fin che i fati ed il dio permetteva,
accogliete quest'anima e scioglietemi da questi affanni.
Vissi ed il corso che la sorte mi diede, l'ho compiuto,
ed ora la grande immagine di me andrà sotto le terre.
Fondai una città famosa, vidi le mie mura,
vendicato il marito, ricevetti soddisfazione dal fratello nemico,
felice, ahi, troppo felice, se soltanto le carene
dardanie non avessero mai toccato i nostri lidi".
Disse ed impressa la bocca sul letto. "Moriremo invendicate,
ma moriamo" disse. "Così, così è bello andar sotto le ombre.
Il crudele dardano beva con gli occhi questo fuoco
dall'alto, e porti con sé i presagi della nostra morte".
Aveva detto, e le compagne in mezzo a tali parole la vedono crollata sull'arma,
e la spada spumeggiante di sangue
e cosparse le mani. Va il grido alle alte
stanze: Fama furoreggia per la città sconvolta."

Eneide, libro IV, vv.607-629, 651-666

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