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Siamo di nuovo soli.
Matthew ci ha lasciato un vassoio con del cibo e una bottiglia d'acqua con due bicchieri in carta.
Mi avvicino a Michael sedendomi al suo fianco, pensando ad imboccarlo, prima di soddisfare i miei bisogni primari.
Striscia a terra per sistemarsi meglio, lamentandosi del dolore alle braccia e ai polsi.
Impreca sconfitto, aprendo poi la bocca per addentare un pezzo di toast al formaggio.

<<Perché ti è così difficile dargli fiducia?>>
Non voglio farlo arrabbiare, ma se vogliamo uscire da qui, dobbiamo collaborare.
Se fosse l'arcangelo descritto da Gabriel, avrebbe a cuore gli umili servitori dell'Onnipotente e non viceversa.
Le sue braccia sono completante tatuate da tribali che, sotto forma di linee continue, nascono dalle mani, serpeggiando fino al collo ed espandendosi come radici lungo il petto. O così riesco ad intravedere dallo scollo della maglietta a maniche corte.
<<E perché per te è così facile?>> ribatte severo, masticando un boccone decisamente grande.
<<Non lo è! Ma che alternative abbiamo?>>
Parlo sottovoce, con l'ansia che da un momento all'altro possa entrare qualcuno.
Stappo la bottiglia e gliela appoggio alle labbra, aspettando che beva il necessario prima di continuare ad imboccarlo come un bambino.
<<Sa chi sei, ricordalo. Nessuna persona viene rapita a caso. Gli aguzzini magari sanno che hai soldi, informazioni o che vali molto per qualcuno che può pagare il riscatto. Sicuramente avranno le nostre schede con tutte le informazioni necessarie per manipolarci.>>
Finché parla, ne approfitto per mettere qualcosa in pancia.
Respiro a fatica. Non ci sono finestre, solo una ventola per l'aria che crea un rumore meccanico di sottofondo.
La luce della lampada va e viene, illuminando di grigio le pareti in cemento, come il pavimento.
<<Conoscono i tuoi punti deboli e li sfrutteranno contro di te. Puoi scegliere di non credermi, ma fidati quando ti dico, non abbassare la guardia.>>
Sono in crisi. Ha ragione e al tempo stesso non riesco a diffidare del prete.
Potrebbe essere un attore e potrebbe aver inventato tutto, portandomi a credergli.
Oppure Michael vuole rendermi diffidente perché in realtà è lui il complice degli aguzzini e, fingendo di non ricordarsi niente, vuole illudermi di essere un prigioniero nella mia stessa situazione.

La porta si spalanca nuovamente e Matthew entra per sedersi al solito posto.
Non ci sono orologi, non so che ore sono, se è giorno o notte e da quanto tempo siamo qua.
Mi squadra come al suo solito e apre la beneamata Bibbia.
Rimaniamo tutti in silenzio in attesa che accada qualcosa.
Michael mi guarda e scuote la testa, incitandomi a non iniziare un'altra volta il discorso.
Non posso stare ferma e immobile a guardare, senza agire o fare qualcosa.

<<Matthew>> lo chiamo, avvicinandomi alle sbarre, sotto la faccia contrariata di Michael.
Alza gli occhi, rimanendo in attesa.
<<Lo so che non puoi farci uscire, ma ti prego, lascia almeno che liberi Michael dalle corde. Ha le braccia a pezzi e i polsi viola ormai.>>
Di risposta, lancia uno sguardo verso il ragazzo che, anche con le mani legate, riesce ad alzare il dito medio.
Così non ce la faremo mai.
<<Lo so che è uno stronzo, ma fallo per me, ti supplico.>>
Prego mentalmente che l'Universo aggiusti le cose e faccia cambiare idea a quella persona che so, non essere malvagia.
I due rivali continuano a scambiarsi occhiatacce e Michael preferirebbe morire legato, piuttosto che farsi salvare dal prete.
Ritorna ai miei occhi in cerca di approvazione, come il figlio che si nasconde dietro la madre, troppo timido e impaurito dal mondo che lo circonda.

Convinto dalle mie suppliche, si alza a fatica ed estrae un coltellino svizzero dalla tasca dei pantaloni, avvicinandosi poi alle spalle di Michael.
Si accuccia con una smorfia di disappunto, concentrandosi poi nel tagliare l'insieme di intrecci che tengono Michael incatenato.
Una volta libero, si alza in piedi massaggiandosi i polsi e gli avambracci.
<<Non credere che questo mi faccia cambiare idea su di te, prete>> punta l'indice contro il suo salvatore, marcando l'ultima parola con disprezzo.
Il fatto che abbia un coltello con lui, mi fa vacillare sulle mie convinzioni e sulle idee che mi ero fatta.
<<Prego, comunque>> intervengo, rimproverandolo di non essersi nemmeno preoccupato di ringraziare l'artefice della sua libertà.
<<Grazie, Ariel>> commenta obbligato, ma comunque grato.
Rammaricato di aver ceduto alle mie richieste, Matthew abbandona la stanza ad occhi bassi, facendo sbattere la porta violentemente.
Vado a sedermi al mio solito posto, incrociando le gambe e fissando un punto vuoto per riflettere. Ho bisogno di riflettere.

HOTEL INFERNODove le storie prendono vita. Scoprilo ora