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Come se fossero trascorsi solo una manciata di giorni, forse attimi, mi ritrovo a fissare il tabellone con gli orari delle partenze e i rispettivi punti d'uscita.
Vivo perennemente in uno stato confusionale, come un cocktail di emozioni centrifugati e versati in un bicchiere di cristallo.
<<Qui le nostre strade si dividono>> commento ad occhi bassi, arricciandomi freneticamente una ciocca di capelli.
Dagon non mi ha rivolto una sola parola per tutto il viaggio, avendo semplicemente seguito i miei passi come un'ombra.
<<Solo per poco. Quando il tuo tempo sarà scaduto, verrò a prenderti. >>
Il cuore sbalza leggermente, come se l'Angelo della Morte in persona avesse appena rovesciato la clessidra, dando inizio al conto alla rovescia dei giorni che mi rimangono da vivere.
<<Nel frattempo, non fare stupidaggini>> mi mette in guardia tenendomi il viso fra le mani, per poi baciarmi la fronte delicatamente.

Dopo tutto quello che è successo, ancora non riesco a capire come mai mi demoralizza questa partenza e questo distacco.
Dovrei essere furiosa per essere stata manipolata e abusata, ma in realtà non ho mai opposto resistenza, non ho pensato e non ho nemmeno agito di conseguenza.
Ho lasciato che le cose andassero come dovevano andare.
Cosa dirò una volta tornata a casa? Non lo so, probabilmente che a lavoro mi sono innamorata del mio capo, che oltre ad essere ricco sfondato è anche un galantuomo affasciante e che dopo una serie di sfortunati eventi, è capitato quello che è capitato e non posso tirarmene indietro.
Questa versione non si allontana troppo dalla verità, se vogliamo omettere l'identità demoniaca di Dagon.

La coda di persone pronta a mostrare i passaporti si forma come uno sciame di mosche verso il miele e non voglio perdere ulteriore tempo.
Più rimango vicino a lui e meno sarà la voglia di andarmene.
<<Tieni, questo è tuo.>>
Mi porge il mio smartphone, rimasto in suo possesso per tutto il tempo sotto la mia convinzione di averlo rinchiuso nella cassaforte dell'hotel.
<<Ariel, ora tu sei la cosa più importante per me. Niente e nessuno mi impedisce di raggiungerti nel luogo in cui ti trovi, soprattutto ora che abbiamo un legame di sangue. Per rispetto nei tuoi confronti, lascerò che tu viva questi ultimi mesi come se io non esistessi, ma se dovessi avvertire che ti trovi in pericolo o che qualcosa minaccia l'incolumità di mio figlio, vengo e uccido chiunque si metta sulla mia strada.>>
Stabilisce le condizioni con tono marcato e basso, visibilmente preoccupato di qualcosa che non è ancora accaduto, ma che sembra debba succedere da un momento all'altro.

<<Se mai volessi evocarmi, basta che usi questo.>>
Mi prende la mano libera dalla valigia e ne porge sopra una catenella argentata con un ciondolo rotondo, adornato al suo interno con diverse linee geometriche e due rubini incastonati.
Lo guardo perplessa, non capendo il significato di questo gioiello all'apparenza di grande valore.
<<È il mio sigillo. Non ti servono strane formule o frasi di rituale. Accendi delle candele, stringilo fra le mani e pensami con la stessa intensità che hai impiegato nelle ultime volte. Hai una mente potente, vedrai che sarà facile.>>
Mi attira al suo corpo con uno scatto repentino, stringendomi forte e togliendomi quasi il fiato.
Accarezza dolcemente i miei capelli, annusandone intensamente il profumo, come a volersi tenere un ricordo astratto della mia presenza.
<<Devo andare ora.>>
Molla la presa e con un cenno del capo mi avvio per mettermi in coda, imponendomi di non voltarmi indietro.


Mi siedo nel posto di fianco al finestrino, scelto dall'algoritmo automatico dell'applicazione della compagnia aerea, infilandomi le cuffie nelle orecchie e aspettando che l'aereo decolli per lasciarmi alle spalle la California e tutti i suoi segreti.
I posti accanto al mio vengono occupati in poco tempo da una coppia di ragazzi, che dopo aver incastrato i bagagli a mano nella cappelliera, si siedono stanchi dallo sforzo, allacciandosi subito la cintura e aspettando che le hostess di bordo eseguano il classico rito di spiegazioni dell'uscita e dell'uso dei giubbotti di salvataggio.
Per quante volte ho visto e rivisto gli stessi gesti, comunque rimango convita del fatto che, se mai dovesse esserci un imprevisto che ci obbliga ad utilizzare i dispositivi di sicurezza, il mio cervello andrebbe in pappa dimenticandosi ogni cosa.

Finalmente decolliamo e la spia dell'obbligo delle cinture si spegne, permettendo ai passeggeri di mettersi comodi.
<<Vado un attimo in bagno>> la ragazza posizionata vicino al corridoio si alza, avvisando il compagno seduto vicino a me del suo intento.
Torturo il ciondolo che ho messo subito al collo dopo aver oltrepassato il metal detector e la persona al mio fianco sembra notarlo, tanto che inizia a parlarmi, obbligandomi a fermare le note di "Time is running out".
<<Nervosa?>>
Annuisco senza proferire parola, continuando a fissare il paesaggio attraverso il finestrino spesso e sporco.
<<Interessante la tua collana>> blocco i movimenti, girandomi con un'aria sospettosa nella sua direzione, notando come continui a guardare l'oggetto tra le mie mani.
<<Grazie>> rispondo titubante.
<<Non avere paura Ariel, non sono mica un mostro.>>
Sentendo pronunciare il mio nome, sobbalzo sul posto e sgrano gli occhi incredula.
Mi guardo attorno notando come tutti i passeggeri siano comodamente sistemati, chi con gli auricolari e chi con la benda sugli occhi per dormire.
Nessuno ci degna di uno sguardo, come se fossimo figure invisibili agli occhi di tutti.
<<Come sai il mio nome>> sputo fuori una frase che risuona più come un'affermazione che come una domanda.
<<Ormai tutti lo conoscono. Sei diventata famosa fra gli angeli dopo il miracoloso ritorno di Gabriel e la brutta notizia della perdita di Michael. Hanno combattuto per te e il loro sacrificio non ti è bastato a cambiare idea.>>
Sottolinea le parole con una sottile arroganza per addossarmi e farmi sentire più in colpa di quello che non mi sento già.
Chi è lui e come fa a sapere tutte queste cose?
<<Sei un angelo anche tu?>> dal carattere dispotico non sembrerebbe, ma posso sempre sbagliarmi.
<<Raphael, molto piacere>> mi porge la mano e rimango esterrefatta dalla situazione.
Gabriel, troppo debole per continuare a vegliare fisicamente su di me, ha mandato il terzo arcangelo sulla Terra, probabilmente come ultimo tentativo di riportarmi verso la luce.

<<Non so se te l'hanno detto, ma aspetto un demone. Non posso togliermelo di dosso, in alcun modo. Ho una linea diretta di sangue con Lucifero, sono maledetta dalla nascita e lo sapevate già tutti, quindi non venire a darmi la colpa per non essere l'umana perfetta. Prima o poi il suo richiamo sarebbe stato troppo forte e avrei in qualsiasi caso ceduto. Evidentemente da ragazzina avevo già percepito l'interesse per le mie origini e ho aperto le porte dell'Inferno, per così dire.>>
Raphael ascolta con interesse, senza interrompermi e nei suoi occhi verdi rivedo il riflesso di Michael, con i capelli corvini e il corpo ricoperto di tatuaggi.
Non avrò mai pace, né in questa vita né in altre, per aver permesso il suo assassinio.
<<Per questo sono qui! Ho poco tempo e devi ascoltarmi bene.>>
Si gira con tutto il corpo nella mia direzione, avvicinandosi maggiormente col viso per parlare a bassa voce, in modo che nessuno origli.
<<Hai il modo di rimediare ai tuoi errori, questo non riporterà in vita Michael, ma almeno non sarà morto invano.>>
Sospira aggiustandosi i capelli, tornando poi a parlare con una certa enfasi.

<<Ricrea la tavola e il gruppo che ha partecipato quella sera. Accendi le candele e posiziona il sigillo al centro di tutto. Invoca il tuo demone, fallo apparire e dopodiché, in sua presenza, immergi il ciondolo in una ciotola piena di sale, questo ti permetterà di immobilizzarlo sul posto in cui si trova.>>
L'agitazione si sparpaglia lungo tutto il corpo e la mia mente inizia a fantasticare sull'ipotetica scena da compiere.
<<E alla fine?>> aspetto ansiosa che concluda la frase.
<<Alla fine pugnali lui e poi anche il suo sigillo, fino a sfregiarlo.>>
Trattengo il fiato, sotto shock mentre mi porge una daga dorata, con diversi brillanti incastonati nell'impugnatura.
Non mi domando neanche come ha fatto a farla comparire, i suoi poteri parlano chiaro.
<<Così non potrà più tornare all'Inferno o reincarnarsi in un'altra persona finché io sarò in vita>> sentenzio, afferrando l'oggetto estremamente leggero e accurato, nascondendolo sotto il sedile.
La ragazza fuoriesce dal cubicolo del bagno, dirigendosi lentamente nella nostra direzione per tornare al suo posto.
<<Che ne sarà del bambino?>> chiedo sempre sottovoce, incitandolo a sbrigarsi.
<<Non è un bambino. È un abominio. Brucerà esattamente come il suo creatore e temo che finirai all'ospedale per il dolore insopportabile, avendo un aborto spontaneo. Sarà praticamente dilaniante, ma almeno avrai la libertà.>>

La ragazza si siede al suo posto con un sorriso smagliante, contraccambiato da Raphael, che inizia con lei una conversazione sulle prossime vacanze estive da fare.
Ripenso alla parola così crudele e cattiva che ha utilizzato per definire quello che porto in grembo: Un abominio.
Non è così. Non è ancora nato e non ha nessuna colpa.
Come per qualsiasi coppia umana, nascerà con due occhi, una bocca strillante e qualche ciuffo spelacchiato di capelli.
Sicuramente non gli spunteranno due corna e la coda.
Appoggio una mano alla pancia, avvertendo qualcosa agitarsi improvvisamente.
Mi spavento sul momento, ma poi prendo confidenza con le varie sensazioni e non appena inizio ad accarezzare il ventre, i movimenti si placano, tornando alla tranquillità.
Mi sento gonfia o forse lo sono già.
Ho paura che Gabriel mi abbia mentito e che la gravidanza non duri nove mesi come per tutti i comuni mortali.
La pancia si sta già formando, così come l'esserino al suo interno.

La sera trascina via le sfumature chiare e calde dell'estate appena iniziata, stendendo il velo freddo dell'oscurità.
Gli occhi tentano di chiudersi e il mio cervello tenta di spegnere i pensieri per mettersi in pausa e riposare un attimo.
L'ultimo pensiero però va alle mie amiche. Come posso radunarle tutte di nuovo per rifare la tavola Ouija? Non solo mi prenderebbero per pazza senza credere ad una sola parola, ma non si inventerebbero mai di rifare una cosa così. Soprattutto non riuscirei a recuperare una delle tre, di cui ho perso totalmente i contatti.
Dovrò farlo da sola.
Con le immagini di Dagon che mi supplica di risparmiarlo e il pugnale che brilla come la spada di Michael, mi addormento in balia di una notte invasa da incubi e brutti pensieri.


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