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Il vento ci soffia contro impetuoso, alcuni rami bassi ci graffiano il viso e le radici enormi in superficie, annodate come un groviglio di serpenti, ci rallentano la marcia.
Il boato ci rincorre instancabile e noi corriamo come forsennati, neanche avessimo una figura indistinguibile alle costole, con gli artigli pronti ad afferrarci.
E' tutto buio, la luna non illumina abbastanza e non riesco a tenere d'occhio gli altri due che arrancano al mio fianco.
Il terreno trema o forse è solo una  mia impressione, ma continuo a percepire una presenza alle spalle che lotta per raggiungermi.
Come un mostro nero senza forma che ringhia e ti travolge ad onda di tsunami.
L'adrenalina pompa l'energia a mille, tanto da fuggire come il vento e non sentirne la stanchezza.
La paura di essere presa e di rimanere indietro, mi incitano a non rallentare, anche se il fiato comincia a scarseggiare.
La milza duole e i polmoni sono al limite dello sforzo. 
Mi vedo restare indietro, mentre Michael procede spedito attraverso l'oscurità, saltando radici come un atleta.

Un ramo che si spezza e un urlo.
Freno improvvisamente, con la tachicardia e gli occhi fuori dalle orbite, ma non riesco a distinguere niente.
Gli alberi assomigliano a demoni oscuri e la nebbia ora ci avvolge fino al bacino.
Mi guardo indietro e non vedo Matthew.
<<Matt!>> urlo, girando a destra e a manca in continuazione, con i brividi di terrore.
Non ricevo risposta.
<<Dai, dobbiamo andare!>> mi vedo spuntare Michael da dietro che, prendendomi per mano, mi istiga ad andare avanti.
<<Dobbiamo tornare indietro!>> mi sciolgo dalla sua presa, ripercorrendo lo stesso percorso, cercando di ricordare i passi.
Riprendo la marcia imperterrita, Michael controvoglia mi segue e in silenzio, cerchiamo di ritrovare il poveretto.

<<Matthew!>> urlo di nuovo e questa volta ricevo un lamento di risposta.
Seguo la voce fino a che non trovo la sua figura seduta a terra a coprirsi la caviglia.
Mi accuccio al suo fianco constatando i danni e, quando la scopre, del sangue cola da diversi punti.
Deve essere sicuramente inciampato nelle radici.
<<Ce la fai ad alzarti?>> getto un'occhiata a Michael per convincerlo a darmi una mano, provando a sollevarlo.
Fortunatamente riesce a fare dei passi, ma di correre, non se ne parla.
Lo prendiamo sottobraccio da entrambi i lati e, quando il boato riemerge dalle tenebre, la terra trema di nuovo facendoci cadere a terra, sulle ginocchia.
<<Vedi di muoverti, se non vuoi finire in pasto alla bestia>> Michael lo provoca, dandogli un motivo per tirare fuori la grinta e reagire. 
Riprendiamo un passo più svelto e barcollando, arriviamo alla fine del bosco.

Una distesa d'erba davanti a noi e il cielo stellato sopra noi. Kant aggiungerebbe la legge morale, che in questo momento ha fatto rischiare la vita a due di noi per salvarne uno.
Una staccionata in legno e due cavalli legati ad un palo, già preparati con sella e briglie.
Ci avviciniamo e la luna li illumina per farci distinguere i colori.
Come lo Ying e lo Yang, le due creature si contraddistinguono per bianco e nero.
Sono confusa, non possono essere gli stessi della passeggiata con Dagon.
Un'altra maledettissima coincidenza.
Michael aiuta il malcapitato a montare sul cavallo nero, per poi arrivarmi da dietro le spalle, sollevandomi di peso e posizionandomi sopra la sella del cavallo bianco, dotato di una forza innaturale che mi lascia esterrefatta.
Monta  a sua volta dietro di me e, con un verso della bocca seguito da un colpetto di tallone, mette in marcia il cavallo, portandolo ad un'andatura scorrevole.
Mi volto a guardare Matthew che senza problemi ci segue in silenzio.
Se lavorava con gli scagnozzi da tempo, sicuramente sapeva dell'esistenza dei cavalli e, sicuramente, avrà imparato a cavalcare per cause di forza maggiore.

Come ombre nella notte, percorriamo il prato infinito, oltre i confini dell'immaginabile con la brezza fra i capelli, il profumo d'estate e l'eccitazione della situazione.
La mia testa è sovraccaricata di pensieri, dubbi e perplessità.
Chi sono le persone che ho incontrato finora, posso fidarmi di loro?
Non so chi vuole aiutarmi e chi farmi del male, non so quando sogno o quando sono sveglia.
In più non riesco a capire se le voci esistono veramente o solo nella mia testa.
Qual è il grande piano disegnato per me? Forse è Dio, venuto a rivendicare ciò che è suo.
Le fede che un tempo avevo e che poi, crescendo, ho completamente perso.
Una famiglia cristiana ma non praticante, con tutti i sacramenti immortalati negli album di fotografie di famiglia.
Non ho bisogno di comandamenti scritti su una pietra per comportarmi bene e non ho bisogno di confessare a qualcuno i miei peccati per chiedere scusa e rimediare.
Non ho bisogno di incolpare qualcuno quando qualcosa va storto, quando succedono disgrazie e quando la gente muore.
Soprattutto non ho bisogno di credere che Qualcuno, al di sopra della nostra gerarchia, ci osservi e decida chi poi, una volta trapassato, potrà andare in luogo migliore o peggiore, con il punto interrogativo di cosa ci aspetta veramente, se solo la cenere o la salvezza dell'anima.

Finalmente arriviamo ad una piccola malga, abbandonata in mezzo al niente, circondata da qualche cespuglio incolto.
Constatiamo tutti che è pur sempre un luogo dove fermarsi e trascorrere la notte, quindi, lasciamo i cavalli legati fuori e forzando la porta, ci accomodiamo dentro.
L'elettricità con sorpresa funziona, così come l'acqua corrente.
Entriamo in un piccolo salotto che funge anche da cucina, con un tavolo in legno, quattro sedie e un camino.
Una piccola dispensa ben fornita, così come il frigorifero, ricco di bevande e qualche snack al cioccolato.
Prendo quattro bicchieri dalla credenza e metto in tavola sia l'acqua che altre bibite.
Disidratati dalla corsa, beviamo due bicchieri a testa chi di acqua, chi di succo di frutta e chi di birra.
<<Cos'era quella cosa là fuori?>> interrompo il silenzio, ancora con le palpitazioni a battere sulla cassa toracica.
Nessuno risponde e rimaniamo per non so quanto tempo seduti a fissare il vuoto, in contemplazione del silenzio.

<<Non so voi, ma io vado a farmi una doccia.>>
Mi alzo senza aspettare la risposta di nessuno di loro e vado alla ricerca del bagno che trovo subito dopo qualche secondo, visto che la malga è composta da tre stanze: la cucina con il salotto, una camera da letto e il bagno.
Il letto è matrimoniale, non divisibile. Questo è un problema e forse è il caso di farlo presente agli altri due.
<<Ragazzi, la camera padronale ha solo un letto matrimoniale. Spero che quel divano sia abilitato per dormirci.>> 
Matthew annuisce, andando già a sistemare il tutto per far vedere che tranquillamente una persona può stare comoda, ritornando poi al suo posto come se fosse stato messo in castigo.
<<Bene, allora io direi maschi insieme e io dormo nel divano letto.>>
Michael tossisce rischiando di soffocarsi con la bibita che sta bevendo, mentre Matthew abbassa lo sguardo, torturandosi le mani imbarazzato.
<<Neanche per idea>>  Michael mette fuori discussione l'argomento, incrociando le braccia al petto.
<<Allora tu nel divano letto e io e Matthew in camera>> provo a riformulare le coppie, ripetendo le sue gestualità.
<<Neanche per idea!>> si infuria ancora di più, alzandosi in piedi ed iniziando a camminare avanti e indietro.
<<Scusa, allora dovrei dormire con te?>> seguo con lo sguardo la sua marcia irrequieta.
<<Mi sembra la soluzione più sensata, anzi, mi sembra l'unica soluzione>> conclude avviandosi verso la camera da letto con passo deciso e lo sguardo severo.
Ho capito che con lui non si può decidere e tanto meno ragionare. Se si impunta su qualcosa, bisogna assecondarlo e fine.

<<Stai bene? Come va la caviglia?>>
Mi siedo vicino a Matthew.
Il poveretto è rimasto tutto il tempo in silenzio, sprofondando in se stesso, non potendolo fare per terra. Anche se credo che una buca, se la sarebbe scavata volentieri.
<<Meglio, grazie. Quando sarete a posto col bagno, mi darò una risciacquata.>> 
Mi sorride leggermente, sollevato che qualcuno si preoccupi per lui.
Poi, dalla tasca interna della giacca, estrae soddisfatto la sua piccola Bibbia tascabile.
Non ci credo, l'ha portata con sé. L'ha salvata, o forse lei, ha salvato lui.
<<Vuoi leggermi qualcosa?>> chiedo come una bambina in attesa che la mamma reciti la favola della buonanotte.
So che gli fa piacere rimanere in tema della religione e a me sinceramente, non costa niente assecondarlo.
Una storia, Bibbia o no, è pur sempre una storia.

<<Certo, allora...>>
Come da rituale, sfoglia le varie pagine aggrottando la fronte per cercare la storia giusta e poi si schiarisce la voce prima di iniziare con la lettura.
<<Dal Primo libro di  Samuele, capitolo cinque, versetto sette. I cittadini di Asdod, vedendo che le cose si mettevano in tal modo, dissero: "Non rimanga con noi l'arca di Dio d'Israele, perché la sua mano è dura contro di noi e contro Dagon, il nostro dio>>
Lo interrompo senza lasciarlo finire.
<<Scusa, Dagon hai detto!?>> Matthew mi guarda stranito, non capendo la mia preoccupazione.
<<Sì. Dagon è stato una divinità filistea, diffuso anche in Caanan all'epoca della conquista della Terra Promessa da parte di Israele.>>
Un cerchio alla testa mi fa vedere tutto nero e devo reggermi al tavolo per non crollare a terra.
<<Che tipo di divinità era?>>
Di nuovo un'occhiata torva.
<<Dipende. Non si è concordi sull'etimologia della parola; c'è chi lo traduce con 'dio-grano' e chi con 'dio-pesce'. Ha origini molto antiche, babilonesi. Nel medioevo è stato inserito nella lista dei demoni. Ha un suo sigillo, può essere evocato, ma non chiedermi altro perché non sono demonologo e tanto meno un fanatico. Per me c'è solo Dio.>>
Ora è tutto chiaro. 

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