L'inizio di un'avventura

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Le giornate si sono accorciate, fa freddo. L'inverno sta arrivando. Guardo la nostra piccola casa fatta di legno e pietra, qua e là ci sono degli spifferi di aria. Il cammino al centro della stanza ci riscalda appena, negli inverni gelidi di questo piccolo paese sulle montagne.

La nostra casa è piccola, come la maggior parte delle abitazioni del nostro villaggio feudale. Abbiamo una stanza grande che fa da cucina, sala, e per la piccola anche da camera. Poi ci sono due stanze molto piccole, quella mia e di mio marito e poi c'è la stanza di mia figlia e del marito. Abbiamo un pezzo di terra che coltiviamo io e mia figlia, mentre gli uomini vanno a tagliare la legna a caccia o a lavorare in qualche cantiere. La vita non è semplice, ma nemmeno brutta. Certo, se potessimo tenere la maggior parte del raccolto per noi, sarebbe meglio, ma non possiamo, il nostro signore feudale pretende tre quarti dei proventi. "Nonna!" "Dimmi, piccola" "oggi che piove e non potete fare niente tu e la mamma, mi racconti qualche tua storia? Una tua avventura?". La guardo pensierosa, "te ne ho raccontate così tante che non so più che raccontarti". "Dai, dai, per favore" strilla, sbraita e salta. "Basta, comportati come si conviene ad una signorina, Alesia!". Al rimprovero della madre mette il broncio, che carina. "Forse, e dico forse, un'avventura ancora c'è l'ho, ma è l'ultima e dovrai stare davvero attenta, va bene?" "Madre, per favore non quella." "Penso che sia pronta." "Si, si nonna sono pronta". A sei anni ed è una vera furbetta. "Bene allora siedi sul tuo giaciglio o dove vuoi, perché sto per iniziare a raccontarti di come ho conosciuto tuo nonno, ma soprattutto, ti svelerò un segreto."

I suoi occhietti piccoli e furbi si illuminano di stupore.

Guardo fuori dalla finestra, la pioggia batte incessante, i raccolti, spero non si rovinino altrimenti saremo nei guai quest'anno.

Era il 1100, io ero una ragazza di sedici anni, mio padre, mi aveva destinata in sposa ad un uomo molto più grande di me, che io non avevo mai visto e di cui avevo davvero tanta paura. Però non potevo oppormi al volere di mio padre. Il giorno in cui lui mi confessò questo accordo matrimoniale che aveva stilato, io piansi molto, cercai di ribellarmi, ma fu inutile, persino mia madre era contro di me. Di sera, convinta di essere abbastanza forte e grande per cavarmela da sola fuggii dalla mia stanza. Era un giorno come questo pioveva davvero molto, la strada era tutta una fanghiglia e mentre camminavo le ossa mi si gelavano, il vento era così forte da spostarmi avanti e indietro, i miei vestiti erano bagnatissimi, battevo i denti come una foglia si scuote al vento. Insomma più mi allontanavo da casa, più l'idea che avevo avuto mi sembrava sciocca. Sapevo che se mio padre mi avesse trovata, mi avrebbe dato una bella ripassata, ed anche la consapevolezza di essere picchiata, mi dava la forza di continuare a camminare.

L'oscurità diventava sempre più densa, la pioggia più forte, lampi e tuoni squarciavano il cielo, illuminandolo di tanto in tanto. Ero distrutta, sfinita, ma non lo avrei mai ammesso a me stessa, troppo orgogliosa e fiera. Magari per mio padre, e gli uomini ero solo una donna, sciocca e priva di cervello, come diceva spesso il signore feudale, ma io non lo ero. Avevo coraggio, volontà, idee, fierezza, orgoglio. Tutte emozioni che dovevo soffocare, ma che erano in me. Non ero stupida, ma intelligente, o almeno lo ero quanto un uomo e forse alle volte anche di più, ma non potevo dirlo, altrimenti avrei corso un bel rischio.

Comunque nonostante, la mia testardaggine, ero giunta allo sfinimento. Mi accasciai a terra tra una roccia e la cavità di un tronco. Cercai di coprire il mio corpo, colpito da brividi di freddo, tremavo, l'acqua mi colpiva e il vento mi frustava il viso. Piano piano nottante tutto, riuscì a chiudere gli occhi e mi addormentai. Al mio risveglio mi ritrovai in una dimora calda e pulita. Il cammino acceso. Due piatti di minestra calda sul tavolo e dell'acqua. Un giovane, non di molto più grande di me, una corporatura esile, ma muscolosa, capelli lunghi e biondi, occhi azzurri, orecchie forse un po' troppo a punta. Un viso dolce, gentile, mi sorrideva "Vieni, mangia qualcosa." Non mi fidavo cercavo di restare indietro, nascosta, "non temermi, non ti farò del male. Ti aspettavo da diverso tempo. Vieni, mangia dormi domani mattina, ti accompagno a casa." "No, ti prego, non voglio tornare a casa, mio padre mi costringere a sposare un uomo anziano, io non voglio." Scoppiai a piangere, tutta la mia fierezza svanì nel nulla. "Facciamo così, per qualche giorno potrai fermarti qui. Poi dovrai tornare a casa va bene?" Mi sorrideva dolcemente, trasmettendo mi davvero molta sicurezza. Arrossii.

CRISTAL IN VIAGGIO VERSO L'IGNOTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora