21 settembre 2011, Mercoledì

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Giorno 4


L'orologio segnava le dieci e mezzo. L'aria puzzava di stantio e di esalazioni di gruppo di adolescenti post orario di educazione fisica.

Fuori il cielo era coperto da nuvole bianche cariche di pioggia, dal campetto di basket arrivavano i rumori della palla che rimbalzava ritmicamente sull'asfalto.

Sbuffai sonoramente. Debby, seduta accanto a me, se avesse potuto mi avrebbe dato le spalle. Sua madre aveva incontrato i miei al supermercato il pomeriggio del giorno prima.

Da lì era scaturita una tragica lite sul perché io non fossi con loro a fare la lezione di guida quando le avevo dato buca per il centro commerciale.

Alla fine, avevo dovuto dirle di Cris. O meglio, le avevo dato spiegazioni vaghe sull'argomento.

Mi aveva guardato sbigottita, la bocca spalancata.

- Che significa che sei stata in giro con la ragazza del cellulare? –

- Esattamente questo. Abbiamo fatto un giro. –

- Saresti potuta venire al centro commerciale. –

- È stata una cosa improvvisa, non potevo di certo mandarla via! –

Eravamo state interrotte dal suono della campanella e ci eravamo sedute senza finire la conversazione, ma da quel momento Debby mi aveva messo un muso lunghissimo e mi guardava a stento.

Il professore di religione continuava a parlare da solo, nessuno lo ascoltava e di certo lui era rassegnato a quel fatto. Non aveva scelto di insegnare una materia che andava di moda tra i giovani.

Scribacchiai per qualche minuto sul diario. Non riuscivo a ricordare l'ultima poesia che mi aveva recitato Cris, perciò la scrissi diverse volte, cancellando e modificando.

Sentivo che Debs tentava di spiarmi oltre il muro di orgoglio che aveva eretto a metà del banco.

Manuel Sala, il ragazzo rasato, all'ultimo banco dietro di noi si girava delle sigarette con cartine e tabacco. Una la teneva in bilico dietro l'orecchio, lo sguardo concentrato. Quando mi girai verso di lui alzò gli occhi al cielo indicando il professore. Poi mi chiese di rigirarmi. La mia schiena gli faceva da trincea e lo copriva dal suo sguardo.

Rifiutata anche da Manuel, tirai fuori il cellulare e mi misi a smanettare sui social. Mi passai la lingua sulle labbra, riflettendo.

Volevo fare almeno un tentativo.

Digitai Cristina Mancini su Facebook. Con Twitter non provai neanche.

Ovviamente non c'era traccia di lei online, ma la cosa non mi stupiva.

Sobbalzai, quando un pezzo di carta appallottolato mi colpì sulla tempia. Alla mia destra, Roberta Mariani cercava di attirare la mia attenzione.

- Ci sei sabato alla mia festa? –

Sentii Debby rizzare le antenne, pronta ad abbattersi su di me se avessi detto qualcosa di sbagliato, che ovviamente per lei sarebbe stato dare buca al compleanno.

- Certo, sì. – dissi, più forte del dovuto in modo che mi sentisse. Si girò di qualche grado verso di me, e seppi che una minuscola parte di lei mi aveva perdonato.

Roberta scrisse il mio nome su un foglio, e passò a tirare pallette di carta agli altri banchi. Sbuffai di nuovo.

Mi rigirai il cellulare tra le mani. Quel mostro di satana non aveva neanche Whats app. Non mi era chiaro perché fosse così allergica alla tecnologia, ma d'altronde non era l'unica cosa bizzarra in lei. Cliccai la casella dei messaggi classici, cosa che mi capitava di rado.

Beh, mi aveva dato il numero per un motivo. Non aveva senso farsi problemi.

La lezione è una noia.

Mi dirai mai che lavoro fai?

Samantha.

Trattenni il respiro e inviai. Avevo aggiunto il mio nome alla fine perché non si era segnata mai il mio numero. Non avrebbe risposto, probabilmente. Feci scorrere lo sguardo sulla classe, sospirando di nuovo. Manuel era ancora alle prese con le sigarette, Roberta e le sue amiche Diana e Anna con l'organizzazione della festa di sabato. Debby si truccava gli occhi specchiandosi in un minuscolo specchio tenuto in bilico dall'astuccio.

Il cellulare mi vibrò piano tra le mani. Deglutii. I messaggi erano ben due.

Noia: il desiderio di desideri.

(Lev Tolstoj)

Cristina.

P.S. Piccolo indizio:

lavoro con le mani.

Ovvio che mi desse un indizio che non era un indizio. Mi appuntai l'aforisma di Tolstoj nel diario, chiedendomi cosa desiderassi io.

Impasti la pizza?

Sarebbe favoloso.

Samantha.

- Con chi messaggi? –

Debby, il collo teso verso di me, cercava di sbirciare sul cellulare.

- Perché ridi? È Kevin? –

- Non scriverei mai a Kevin! È solo Cris... -

Fece una smorfia, alzando anche un sopracciglio. Il cellulare vibrò di nuovo.

Fuochino.

Adesso segui la lezione.

Cristina.

Soffocai una risata. Debbymi guardò interdetta. 

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