27 settembre 2011, Martedì

553 33 0
                                    

Giorno 10


Mi svegliai quasi di buon umore.

La sera prima io, mamma e papà avevamo cenato in armonia e avevamo persino visto un film insieme prima di andare a letto.

Se solo tutta quella positività avesse potuto cancellare la mancanza di Debby nella mia vita... ma era lì. Era in una parte del mio cuore che stava sullo sfondo, silenziosa, acquattata, pronta a ferire. Riuscivo a percepirla anche quando ero impegnata in qualcosa che richiedeva tutta la mia attenzione.

Mi riempii la pancia a colazione mentre guardavo il notiziario con papà che mi permise di guidare la macchina fino a scuola, con lui sul sedile del passeggero a pregare i santi del paradiso sottovoce. In realtà stavo davvero migliorando, ma supponevo che un padre difficilmente potesse abituarsi alla vista della sua piccola che guida.

Il mio entusiasmo si spense poco dopo il suono della campanella. Debby era assente. Sprofondai nella sedia, al banco solitario, e guardai fuori dalla finestra. Avrei voluto chiamarla per chiederle come stava, ma non potevo più fare quel genere di cose. L'impotenza che avevo in quella situazione mi faceva impazzire.

Qualcuno mi avrebbe detto che era tutta una questione di orgoglio da entrambe le parti, e forse poteva essere così, ma non avevo intenzione di fare il primo passo o forse semplicemente non ero pronta.

Mi guardai intorno. Roberta, Anna e Diana erano tornate ad ignorarmi come il resto della classe dopo la festa di sabato.

Manuel piantò in asso il suo compagno di banco e si sedette accanto a me.

- Che cos'ha? – gli chiesi subito. Ormai davo per scontato che ci fosse qualcosa tra quei due e che io ne fossi totalmente all'oscuro per chissà quali motivi.

- Qualche linea di febbre. Si rimetterà. –

Annuii, tamburellando nervosamente con le mani sul banco. Mi passai le mani tra i capelli e chiusi gli occhi. Dio, sentivo di esplodere. Era tutto sbagliato.

- Senti Sam... stavo pensando che magari potremmo fare qualcosa oggi pomeriggio. Ora che non la senti più... credo tu abbia bisogno di svagarti. –

- Io ho bisogno che quell'idiota... -

- Appunto. – disse.

Sospirai. L'alternativa di sprofondare sotto le lenzuola tutto il pomeriggio per non pensare a quella situazione sembrava più allettante. Ma era difficile declinare un'offerta così premurosa e Manuel era quel tipo di persona ok, che non avrei scelto di sterminare se avessi dovuto fare una lista.

- Dai, potresti venire con me allo studio di tatuaggi. Mio cugino e i suoi amici sono tipi apposto, non come questi rifiuti umani della nostra scuola. –

Ci pensai un po', guardandomi intorno. Quello che vedevo mi convinse.

- Va bene. – dissi. – Penso si possa fare, dopotutto. –

Io e Manuel mangiammo un panino per strada dirigendoci allo studio di tatuaggi del cugino Federico.

Fede era un tipo simpatico, aveva ventidue anni e già uno studio tutto suo. Era atletico, completamente ricoperto di tatuaggi sulle braccia, ma sotto sotto sembrava estremamente tenero. Aveva capelli corti e neri, gli occhi di un azzurro chiarissimo.

- È la tua ragazza, Manu? – chiese, non appena entrammo.

- No. –

- Per fortuna. – e mi fece un occhiolino piuttosto esplicito. Arrossii.

30 giorniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora