28 settembre 2011, Mercoledì

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Giorno 11


Adesso portavo due ferite addosso.

Il dolore per la mancanza di Debby era nascosto e latente in un angolo della mia testa, impregnava tutto quello che facevo, come una sostanza tossica che agiva lentamente ma con costanza. A un certo punto realizzavi che ti stordiva, ti intontiva, e ti faceva muovere lentamente e sotto un perenne stato di ipnosi.

Il dolore causato dal litigio con Cris, invece, era di un tipo totalmente diverso e forse raro nel suo genere, perché avevo la sensazione di non averlo mai provato. Mi prendeva alla bocca dello stomaco, al petto, alla gola, impedendomi di respirare bene. Nei suoi picchi faceva così male che avevo la sensazione che potesse paralizzarmi gambe e braccia, e che mi avrebbe tolto tutta l'aria dai polmoni se gli avessi lasciato via libera.

Delle volte queste due ferite mi sopraffacevano e allora mi veniva voglia di piangere e scomparire per sempre.

Mi sarei dovuta fermare a ragionare su che cosa entrambe significassero, ma il combatterle mi toglieva ogni forza e mi lasciava senza alcuna energia per ragionare. Sapevo che stavo ignorando qualcosa di essenziale sulla questione Cris, ma continuavo così, a respingere quei pensieri, a fare scudo al mio corpo in qualche modo.

Lei ovviamente non aveva nessuna colpa. Cosa avrei voluto che mi dicesse? Non lo sapevo neanche io. Ero testarda, esigente, capricciosa e infantile.

- Sam... - dopotutto, se io fossi stata in lei, non mi sarei più fatta viva. Cosa le davo io in quel rapporto? Assolutamente nulla.

- Sam! – sobbalzai, e un po' di cappuccino strabordò dalla tazza della mia colazione, finendomi sulla mano.

Alzai lo sguardo su mamma e papà e per un attimo mi chiesi come fossi finita a quel tavolo, sorseggiando quel cappuccino, senza neanche rendermene conto. Non avevo nessuna memoria di me stessa che mi preparavo, scendevo le scale, davo il buongiorno. Incrociai per un attimo il mio sguardo nello specchio del soggiorno: gli occhi vitrei, l'aria stanca, sembravo una sull'orlo del collasso.

- Ti viene da vomitare? –

Mi chiese mia madre, la borsa già al braccio, le chiavi della macchina in mano, pronta a uscire ed impeccabile. Sì, mi veniva da vomitare. Ma non per chissà quale intossicazione. Si avvicinò con un rumore di gingilli sonanti, mi mise una mano sulla fronte.

- Non hai la febbre. – sentenziò. – Ma hai davvero una brutta cera, Sam. Forse è meglio se resti a casa oggi. –

- No, no. Voglio andare a scuola. – dissi.

Figuriamoci se avrei costretto me stessa a fissare il soffitto della camera tutta la mattina. Mi sarei crogiolata nei miei dolori fino allo sfinimento. Assolutamente no, dovevo tenermi impegnata, o sarebbe stato molto peggio.

Mamma mi fissò interdetta, inarcando un sopracciglio verso papà. Lui, da dietro il giornale, alzò le spalle e si sistemò nervosamente sulla sedia.

- Va bene. Come vuoi. Ma se ti senti male non posso venire a prenderti. –

- Me la caverò. – la rassicurai, pulendomi la mano col fazzoletto. Sapevo per certo che non era neanche lontanamente convinta di questo quando uscì di casa, ma era troppo in ritardo al lavoro per pensarci.

Io e papà uscimmo poco dopo. Stavolta non mi propose di guidare e restammo in silenzio per tutto il tragitto fino a scuola. Per me andava benissimo così: avevo la sensazione che se avessi aperto bocca avrei potuto vomitare sul serio.

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