5 ottobre 2011, Mercoledì

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Giorno 18


Per l'ennesima volta durante quel mese, mi risvegliai con il mal di testa e una nausea rivoltante. Ricordavo a malapena il tragitto per tornare a casa la sera prima. Me ne ero stata zitta e buona sul sedile posteriore del taxi a rimuginare. Erano stati tutti pensieri senza un filo logico, fatti di labbra, occhi verdi e desiderio, mentre la luce dei lampioni colpiva ad intermittenza i miei occhi, fissati sul cielo scuro.

Infine, sfinita, mi ero abbandonata sul letto senza neanche svestirmi e mi ero lasciata cullare dal mal di testa come se fossi in una barca in mezzo al mare.

Ad un certo punto dovevo essermi addormentata, ed ora la sveglia automatica impostata sul mio cellulare mi strappava da un sonno tormentato ma necessario.

Mi alzai come uno zombie, schivando la luce e raggiungendo a tentoni il bagno.

Passai diversi minuti sotto la doccia. Il mio corpo bruciava ancora dove lei mi aveva toccata e pativa l'assenza delle sue mani. Girai la manopola dell'acqua a destra, finché non diventò così fredda che mi venne da urlare, poi la chiusi di scatto, rabbrividendo.

Mi avvolsi nel mio accappatoio caldo, stropicciandomi la faccia e i capelli. Finalmente mi sentivo un po' meglio.

La nausea mi era passata, quindi mi permisi di fare una colazione abbondante, e sentii il mio corpo tornare immediatamente in forze.

Mia madre mi osservò tutto il tempo di sottecchi. Avevo questa percezione che ultimamente mi vedesse come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e mi sarebbe piaciuto che non la pensasse così, anche se una parte di me effettivamente si sentiva sempre sul filo del rasoio, sull'orlo del baratro dell'instabilità.

Pensai alla polaroid che ritraeva me e Cris, ora infilata tra le pagine del mio diario. Ero conscia di dover affrontare il problema, eppure non mi azzardavo a farlo perché quella cosa mi spaventava più di ogni altra in quel momento.

Ovviamente esclusa l'eventualità di perdere Cris. Quella sarebbe stata la cosa più spaventosa.

Presi l'autobus quella mattina. Non avevo voglia di parlare né con mamma, né con papà. Nulla di ciò che stava accadendo era colpa loro, eppure risucchiava tutte le mie energie e mi allontanava ancora di più dal resto del mondo.

Ero lontana anni luce da quelle persone, da quegli avvenimenti, chiusa in una bolla, separata da una coltre d'aria invalicabile.

Non potevo raggiungerli, non potevo parlargli. Quella mano continuava a coprirmi la bocca e a dirmi di stare zitta.

Debby mi accolse all'armadietto con uno sbuffo e un'imprecazione.

- Per cosa ringraziamo la vita questa mattina? - chiesi.

- I due idioti di ieri sera mi hanno aggiunto su tutti i social possibili. Non so più come scollarmeli. -

- Non accettare le richieste o bloccali o che so io.... -

- No, hai ragione, tu non lo sai perché non ti interessi minimamente di queste cose... da quanto non entri su Facebook, cinque anni? -

Mi strinsi nelle spalle. - Dovrebbe essere una cosa negativa? -

- Certo che lo è! C'è un mondo oltre i tuoi drammi, sai Sam? E comunque il profilo anonimo ha scritto di nuovo sul gruppo della scuola. Te lo dico io perché, ovviamente, come potresti saperlo? -

E infatti non ne avevo idea. - Come mi ha massacrata, stavolta? -

- Oh no, non preoccuparti, ci siamo dentro tutte e due. A quanto pare siamo state avvistate in un locale in centro con due ragazzi. Devo raccontarti la reazione di Manu o riesci a immaginarla? Non oso pensare cosa si sia messo in testa sul mio conto...-

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