PROLOGO

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- PROLOGO -

07 maggio

Sollevai lo sguardo sull'orologio a muro, poi tornai ad osservare il libro che stringevo a me come una preziosa reliquia. Il capitolo appena finito si era concluso con una morte davvero inaspettata. La storia, un giallo piuttosto intricato, mi stava prendendo tantissimo e per la cena mancava ancora una mezz'oretta. Contai le pagine del capitolo successivo: diciotto. Sì, ce l'avrei fatta. Sorrisi tra me e me e ricominciai a leggere quando...

«Luna!»

«Che c'è, mamma?» chiesi, cercando di non far trasparire nella mia voce il fastidio dovuto a quella interruzione.

Vivere con i miei a ventitré anni era comodo perché, benché collaborassi nell'amministrazione della casa, non dovevo preoccuparmi delle bollette, della cena ogni sera o delle lavatrici. Ma il prezzo da pagare, l'altra faccia della medaglia, come si suol dire, era la mancanza della libertà di fare quello che volevo, quando lo volevo.

«Vieni un secondo, ti devo parlare» rispose la voce ovattata di mia mamma dall'altra stanza.

Sbuffai, ben consapevole che lei avrebbe avuto da ridire se mi avesse vista farlo: mi ripeteva quotidianamente quando le dessero fastidio i miei sbuffi scocciati.

«Eccomi» dissi andandomi a sedere accanto a lei al tavolo della cucina. La stanza profumava della carne che si stava arrostendo in forno. «Cosa dovevi dirmi?»

«Ha chiamato zia Daniela» iniziò a raccontare torcendosi le mani, sembrava nervosa.

Sua sorella ultimamente aveva accusato qualche problema di salute. Mi augurai che non ci fosse nulla di nuovo di cui preoccuparsi.

«Pare che il suo problema alla schiena sia più grave di quanto sospettavamo. Nulla di irreparabile, ma il medico le ha detto che la fisioterapia non è più sufficiente e che dovrà operarsi a breve».

«Cavolo, mi dispiace» dissi, abbassando lo sguardo sulla tovaglia colorata. «Le telefonerò o le scriverò un messaggio».

Non avevo mai avuto un buon rapporto con l'idea delle malattie, degli ospedali o degli interventi, quindi quella banale promessa, fatta da me, aveva un peso diverso e mia mamma, che mi conosceva fin troppo bene, ne era consapevole.

«Sì, tesoro, chiamala» disse dandomi una pacca affettuosa sulla mano. «Anche perché le dovrai dare una risposta».

«Una risposta a cosa?» chiesi servendomi un bicchiere d'acqua.

«Luna, tua zia verrà operata già la settimana prossima, ma il medico è stato drastico su un punto: dovrà stare a riposo per un bel po' dopo l'operazione» spiegò. «Quindi non potrà andare all'hotel quest'anno».

«Oh no, zia adora le estati in hotel» commentai con rammarico immaginando quanto quella notizia abbattesse zia Daniela.

Zio Angelo, il marito di Daniela, gestiva con lei un albergo di medie dimensioni in un piccolo lido della popolare e ridente Riviera Romagnola. La famiglia di Angelo dirigeva l'hotel da almeno tre generazioni ma, da ormai una ventina d'anni, Angelo, che era figlio unico, si era preso la responsabilità di occuparsene in collaborazione con la moglie e con l'ausilio saltuario dei due figli gemelli di un anno più grandi di me: Valerio e Cristina.

«Già» commentò mamma. «Infatti inizialmente si diceva disposta a posticipare l'intervento in autunno, ma alla fine zio Angelo è riuscito a convincerla a dare priorità alla sua salute».

«Ha fatto bene».

«Sì» annuì mamma. «Ma ha accettato solo ad una condizione: vuole che anche tu vada ad aiutare in albergo per questa stagione».

«Cosa? Io? Perché?» chiesi, allarmata. «Ci sono già zio Angelo, Cristina e Valerio!»

«Certo, ma sai bene quanto lavoro ci sia da svolgere in albergo. Loro tre non sono sufficienti e Daniela non vuole assumere nessuno che non sia di famiglia» spiegò, alzandosi per controllare che la carne non si stesse bruciando. «E poi sa che tu sei responsabile, precisa e ben organizzata».

«La mia risposta è no» risposi alzandomi di scatto.

«Avanti! È un buon lavoro ed è ben retribuito! Sai quanto è difficile entrare nel mondo del lavoro al giorno d'oggi!» mi fece notare lei. Negli ultimi mesi avevamo spesso parlato di lavoro e di futuro. «Inoltre potresti mettere qualche soldo da parte per i tuoi sfizi o per la magistrale».

Avrei dovuto conseguire la mia laurea triennale a luglio ma poi, nemmeno io riuscivo a spiegarmi come, le cose erano accadute tutte più velocemente del previsto ed io, a metà marzo, mi ero ritrovata a stringere il titolo tra le mani mentre mi mamma mi posava tra i ricci una meravigliosa corona d'alloro e bacche. Erano quindi già due mesi che, in attesa di riprendere i corsi della magistrale ad ottobre, mi stavo godendo del meritato relax. O, almeno, io amavo chiamarlo così. I miei invece, sebbene fieri dei miei risultati, insistevano a dire che mi sarei dovuta portare avanti con la ricerca di un impiego invece che starmene in casa a poltrire.

«Sai bene qual è la ragione del mio rifiuto».

«Luna, sono passati anni ormai».

Scossi la testa. Sì, erano passati anni, ma il solo ripensarci mi aveva provocato una stretta allo stomaco.

«E poi tu ami da sempre l'Hotel Fortuna!»

«Lo amavo, al passato!» esclamai freddandola con lo sguardo. «Sai bene che non ci torno da quando...»

«Dal Fattaccio» completò mamma. Era il modo in cui avevamo deciso di definire l'accaduto. Serviva a semplificare i nostri dialoghi e ad impedirmi di rivelare di più di quello che le avevo confessato a caldo. «Ma ormai quella è acqua passata! Sei una donna ormai e non puoi permettere ad un avvenimento del passato di limitare il tuo presente!»

Non risposi. Forse perché temevo di diventare aggressiva o forse perché, in fondo, amavo veramente l'Hotel Fortuna. Era stato l'allegra e vivace sede delle prime diciassette estati della mia vita. Avevo passato le mie estati al Lido sin da quando ne avevo memoria ma c'erano innumerevoli foto a dimostrare che lo stesso valeva per le precedenti. In tutti quegli anni, l'ultimo giorno di scuola mi era sempre parso interminabile poiché sapevo che il pomeriggio seguente sarei già stata a mollo nella piscina dell'hotel con i miei cugini o stesa al sole sulla spiaggia. Fino ai miei dodici anni, avevo viaggiato accompagnata dai miei genitori che, dopo un weekend trascorso in albergo insieme agli zii, ripartivano per poi tornare a fine agosto, quando riuscivano a combinare le loro settimane di ferie; poi avevo iniziato a viaggiare da sola, in treno.

Le mie prime sedici estati erano state talmente felici da mettere in ombra qualsiasi mia altra gioia. Al Lido mi sentivo a casa, avevo le mie abitudini, i miei rituali, i miei posti preferiti e soprattutto avevo i miei cugini. Valerio e Cristina non erano solo la mia famiglia, erano anche e soprattutto i miei migliori amici. Con loro potevo parlare di qualsiasi cosa e insieme eravamo una forza della natura (e probabilmente una bella gatta da pelare per i miei zii).

Poi però, nell'estate dei miei diciassette anni, tutto era cambiato. Io ero cambiata.

«Sono sicura che, lavorando insieme, tu e Cristina farete finalmente pace» decretò mamma inclinando la testa per guardarmi con aria quasi supplichevole. «È quello che la zia Daniela vorrebbe».

Ecco, ora la stava buttando sul sentimentalismo, che rabbia! Mia mamma era fin troppo brava con quel genere di manipolazione psicologica. Ma era troppo facile parlare di pace quando si conosceva solo una parte della storia. Quando era avvenuto il Fattaccio, lei e papà non erano ancora arrivati al Lido e quindi avevo avuto modo di rimodellare un po' la verità, di edulcorarla. Lo avevo fatto sperando di riuscire ad ingannare anche me stessa, ma non aveva funzionato.

Non mi sentivo affatto pronta a combattere i miei demoni faccia a faccia, però una parte di me sapeva che quella era un'ottima opportunità per trascorre l'estate in modo costruttivo: avrei aiutato zia Daniela e zio Angelo, avrei guadagnato qualche soldo, avrei trascorso quei mesi di fronte al mare ed avrei anche familiarizzato con il mondo del lavoro. Non potevo proprio rifiutare. Non in un periodo storico in cui la gente lotta con le unghie e con i denti per trovare un lavoro accettabile e dignitoso.

«Accetterò la proposta» dissi alla fine. «Ma non illuderti, non perdonerò Cristina».

LUNA D'ESTATEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora