CAPITOLO 2

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- CAPITOLO 2 -

ultima settimana di maggio

Era la prima volta che vedevo l'hotel Fortuna così deserto. Lo trovai desolante ed affascinante allo stesso tempo. Nei giorni che seguirono il mio arrivo all'hotel Fortuna, percorsi decine di volte corridoi deserti e familiari seguendo Valerio avanti e indietro dalla stanza adibita a lavanderia. In passato ero già entrata altre volte in quel locale poco illuminato, quando i miei cugini ed io eravamo piccoli e scalmanati amavamo giocare a nascondino in posti come quello. Ai tempi la lavanderia mi era sembrava enorme e piena di mistero, ora invece non mi sembrava altro che una stanza piena di lenzuola ed asciugamani profumati.

«Ed ecco sistemata anche l'ultima camera» disse Valerio alzando la mano per battere cinque con me. «Sei stata brava, cuginetta!»

In quei giorni avevamo rassettato più di cinquanta stanze identiche. Non era cambiato nulla da quando occupavo una di quelle camere durante le settimane in cui i miei mi raggiungevano al Lido. C'erano il letto matrimoniale fronteggiato dall'armadio con le ante a specchio, l'eventuale letto singolo accanto al muro, la piccola scrivania con la sua sedia di legno e la porta finestra che dava sul balcone tondeggiante. Era striminzita, ma c'era tutto. Quando invece ero sola, negli anni precedenti, ma anche quell'anno, io alloggiavo in una piccola camera singola che si affacciava sulla. Non me ne era mai importato molto della vista quando passavo le giornate al mare con i miei cugini, ora invece un po' mi infastidiva non poter vedere il mare dalla mia finestra appena sveglia.

Aprii la portafinestra e mi affacciai al balcone. Valerio mi seguì.

Era l'ultima sera che avremmo vissuto senza i clienti. L'ultima sera prima che il lavoro vero e proprio ci sommergesse, prima che Cristina arrivasse in albergo.

«Agitata per domani?» mi chiese Valerio notando le mi spalle irrigidite dalla tensione.

«Un po'» ammisi senza voltarmi. Osservare il placido mare Adriatico mi rilassava.

«Sarai all'altezza» mi disse, affiancandomi.

«Non lo so» scossi la testa lasciandomi cadere di peso su una delle sedie di plastica. «Sai, non mi sentivo così insicura da anni».

Fu difficile per me ammetterlo, ma farlo fu liberatorio. Mi fidavo di Valerio e sfogarmi con lui era estremamente naturale. Il mio sospiro si perse nella tiepida aria marittima.

«È il tuo primo lavoro» commentò mio cugino sedendosi davanti a me. «È del tutto normale essere agitata! Anche io ero teso il mio primo giorno, e vivo con i miei datori di lavoro da quando sono nato!»

Sorrisi.

«Ascolta, Luna» cominciò, «io mi ricordo di com'eri sei anni fa: timida, insicura e un po' impacciata. Ora sei diversa! Sei forte, sicura di te, indipendente, determinata e bellissima. Inoltre ho vista lavorare in questi giorni e ti posso assicurare che non avrai problemi. Ti fidi di me? »

«Sì» dissi dopo aver guardato per un po' in quegli occhi azzurri e luminosi. «Grazie».

Mi alzai e mi rannicchiai tra le sue braccia. Lui mi strinse a sé per qualche istante, poi mi allontanò dal suo petto per guardarmi.

«È l'ultima serata libera che abbiamo» constatò. «Usciamo. Andiamo alla nostra solita piadineria, in onore dei vecchi tempi».

«Ok!» accettai dopo un attimo di indecisione.

Avevo ricordi contrastanti riguardo quella piadineria. Era lì che tutto era cominciato sei anni prima. Era lì che lo avevo conosciuto. Era lì che erano sorte le basi del Fattaccio. Ma quella era la piadineria di Marco e Laura, due delle persone alle quali più tenevo al Lido. Li conoscevo sin da quando ero piccola e, sette anni fa, io e  i miei cugini eravamo stati persino invitati al loro matrimonio che si era tenuto a Ravenna, tra i mosaici della Basilica di San Vitale. Alla fine dell'estate successiva, Laura ci aveva annunciato di essere incinta ed io ora ero davvero curiosa di rivederli e ancor di più di conoscere il frutto del loro amore.

LUNA D'ESTATEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora