Capitolo 6

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Non fu una notte insonne, anzi, dormii tranquillamente senza alcun pensiero negativo; a svegliarmi fu mia sorella mentre cantava, di solito mi innervosivo quando lo faceva ma quella mattina glielo lasciai fare, se non altro era un giorno importante. Mi alzai dal letto indossando le pantofole e piena di forze scesi in cucina dando un bacio sulla guancia a mia madre mentre spolverava i mobili, presi del pane e lo mangiai con la marmellata all'arancia, la mia preferita.

"ti prego dille di smetterla, mi sta rompendo i timpani" si rivolse a me mio fratello Micheal disperato coprendosi le orecchie con le mani mentre mia sorella di fronte a lui in punta di piedi nella speranza di essere alta quanto lui cantava ancora più forte, soddisfatta nel vederlo sofferente.
Sì, soffriva veramente, si potrebbe paragonare questa cosa ad una vera e propria tortura dal momento che Danielle era tutt'altro che intonata.
Guardai la scena divertita.

"No"

Si guardarono confusi e dissero in coro: "No??"
"Oggi non sono in vena di discutere con nessuno, neppure con Danielle che canta di prima mattina" non aprirono bocca, probabilmente pensarono che stesse arrivando la fine del mondo.
"ma sono quasi le 9!"

Corsi al piano di sopra e aprendo l'armadio rimasi a meditare su cosa indossare, sospirando presi un vestito celeste, in un attimo lo indossai per poi specchiarmi e pettinarmi i capelli. A mia volta canticchiai una melodia che avevo in testa da quando mi ero svegliata, non riuscivo proprio a smettere di pensarci e non mi dispiacque in verità, era abbastanza orecchiabile e mi dava serenità soprattutto in un momento come quello.

"I signori stanno per arrivare!" ci avvisò nostra madre, ed io risposi "okay" consapevole che per prima cosa non era tutto "okay" ero tutt'altro che pronta; e due non mi avrebbe sentita.

Era questione di minuti ormai, pochi attimi mi separavano da lui, eppure sembravano anni; ad interrompere i miei pensieri fu una voce a me familiare provenire dal viale principale.

La sua.

Ne ero certa.

Non ci fu nemmeno bisogno di accertarmi se fosse lui o meno, lanciai un ultimo sguardo alle lettere poste sulla mia scrivania che in quel periodo mi aveva mandato e in un lampo mi ritrovai di fronte alla porta di ingresso pronta a salutarlo.
Per un attimo esitai nel momento esatto in cui stavo per girare la maniglia della porta, inspirai, mi feci coraggio e la aprii; un vento caldo mi accolse non appena uscii sul viale e girandomi verso destra lo vidi.

"E' lui" pensai.

Dopo due infinite settimane i nostri sguardi si incrociarono come se fosse la prima volta in assoluto, i suoi stessi occhi mi sorrisero e con loro sorrise anche il mio cuore.

Fu guardando i suoi occhi che capii una cosa: il mio cuore ormai apparteneva a lui.

Presa dall'emozione non mi accorsi della persona accanto a lui: Sophie.

Per un istante, un'emozione nuova, estranea a me stava per prendere il sopravvento ma non glielo permisi, non mi interessava, niente e nessuno mi avrebbe impedito di passare una giornata serena; nemmeno la gelosia.
Sorridente affrettai il passo verso di lui scalciando con la punta delle scarpe i ciottoli che si presentavano davanti a me, non riuscivo a smettere di sorridere, e in fondo non volevo smettere di farlo; ricambiò il sorriso pronunciando queste esatte parole:

"Sono felice di rivederti, Nancy"

Mi è sempre piaciuto il mio nome; ma in quel momento sembrava ancora più bello pronunciato da lui.
Finalmente la lontananza non era più un problema, eravamo a pochi centimetri di distanza e posso giurare che in quel momento il battito del mio cuore rimbombava nell'aria; prese la mia mano e delicatamente la portò verso di sé poggiandovi le sue labbra rosee; la lasciò poco dopo continuando a sorridermi. Non feci in modo di nascondere le mie emozioni, nonostante la presenza di Sophie; eppure mi venne in mente una domanda: "perché sono venuti insieme?"

Questa domanda mi devastava; però mi promisi che non ci avrei pensato durante la loro visita, anche se sarebbe stato difficile; lo sapevo bene.
Era una giornata particolarmente soleggiata e si sentiva l'odore dell'estate che a poco sarebbe arrivata; quella mattina non c'era il signor Smith; interpretai quella cosa come un "segno del destino" anche se mi sembrava tutt'altro che "segno", così decidemmo di passare la mattinata solo noi tre al tavolo nel giardino di fronte casa mia; proprio come degli amici che si conoscono da una vita intera.

Ricordo che Tom ci raccontò di come aveva passato le giornate in quel periodo e noi due rimanemmo imbambolate ad ascoltarlo;  mi sedetti alla sua destra ammirando ogni dettaglio del suo volto, studiandolo come un dipinto, la sua pelle sembrava porcellana e i suoi capelli ricadevano dolcemente sui suoi occhi color verde smeraldo.

Non capii nemmeno una parola di quello che disse, ciò che contava era la sua presenza; solo quella mi sarebbe bastata a farmi tacere per sempre ed io non mi opposi; ad ogni suo sguardo il mio cuore perdeva un battito ma ad ogni suo sguardo rivolto verso Sophie ne perdeva due.

Notai come lei cercava costantemente la sua attenzione e sebbene mi desse fastidio non feci niente per farla smettere, in cuor mio c'era la sofferenza nel capire che tra loro due ci fosse intesa; ma questo non mi fece smettere di sognare ad occhi aperti.

"Perduta per sempre"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora