Capitolo 8

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Ricordo la mattina successiva come una giornata particolarmente serena, indossai il mio vestito preferito, col panna, e come al solito lasciai i capelli sciolti colorando le mie labbra di un rosa più acceso, volevo dare il meglio di me dal momento che quel giorno sarebbero rimasti da noi a pranzo i signori Smith; restai in camera mia parte della mattinata ascoltando il cinguettio degli uccelli fuori dalla mia finestra mentre i raggi del sole illuminavano la stanza facendola sembrare ancora più grande.

Ad interrompere i miei pensieri fu la voce di mio fratello: "non riesco a comprendere perché ogni volta dobbiamo invitare qualcuno a casa nostra, per una volta vorrei fare quello che mi pare senza dare conto agli ospiti" disse con tono annoiato poggiato alla porta della mia camera; in fondo aveva ragione, non potevo dargli torto ma a me faceva più che piacere avere come ospite Tom così non gli diedi corda, anzi, sorrisi per poi poggiare le mani sul davanzale della finestra e guardare fuori dalla finestra la mia amata prateria sempre più rigogliosa che mi chiamava a sé.

Vidi una carrozza accostare proprio sotto la mia finestra, non mi mossi di un centimetro, anzi, restai ad aspettare che i due ospiti scendessero da essa; il signor Smith aprì lo sportello sulla sinistra e poggiando un bastone col manico lavorato, si avvicinò all'ingresso; subito dopo si aprì lo sportello destro, con passo leggero uscì Tom sistemandosi all'indietro i capelli castani, restai a contemplarlo, come quando un poeta guarda la sua musa ispiratrice. Non indossava niente di speciale: una camicia bianca e dei pantaloni neri, eppure sarei rimasta ad ammirarlo per ore ed ore, chissà per quale volere divino il mio cuore era così debole alla sua presenza, rimase un taboo persino per me stessa ma non me ne feci una colpa, anzi, me ne feci una ragione e riuscii a convivere con quei sentimenti molto più forti di me.

"suvvia ragazzi non fate attendere i nostri ospiti!"
Era la voce di nostra madre che ci incitava a scendere al piano terra ad accogliere i signori; senza fare rumore scesi le ripide scale che separano le camere da letto col piano terra e quale miglior saluto mi poteva attendere se non un suo sorriso accompagnato da un cenno della sua testa, mi avvicinai facendo lo stesso sia con Tom che con suo padre per poi accingerci a pranzare; passai parte del pasto a parlare con lui sebbene i miei fratelli si intromettevano spesso nei nostri discorsi, il che non mi diede fastidio.

Terminato il pranzo decidemmo di spostarci nella sala accanto accomodandoci sul divano in pelle al centro della stanza parlando del più e del meno mentre le sue risate risuonavano nell'ambiente creando un'armonia che avrebbe fatto invidia persino al più grande musicista.

"suoni il pianoforte?" chiese indicandolo con l'indice; devo dire che la sua domanda mi colse al quanto impreparata.
"lo suono discretamente" ammisi
"non fare la modesta"
"lo giuro!"
"non ti credo fino a che non ti avrò sentita suonarlo"

Come poter rifiutare tale richiesta, non mi tirai indietro, mi alzai dal divano e facendo attenzione al vestito, mi sedetti sullo sgabello del pianoforte consapevole di essere sotto i suoi occhi; mi sentii al quanto in soggezione, mi stava cogliendo su uno dei miei punti deboli, volevo dimostrargli la mia bravura, così scelsi di suonare un brano che ad esser sincera suonavo quasi ogni giorno caso mai qualcuno mi chiedesse di suonare il pianoforte. Ed ecco che si era presentata quella situazione, il mio sesto senso mi aveva salvata un'altra volta.

Sentii i suoi passi leggeri avvicinarsi sempre di più a me poggiando le sue dita sui tasti facendo della mia melodia un duetto; in quel momento avrei giurato che quella fosse la musica del paradiso, percepii il suo fiato sulla mia spalla destra e chiusi gli occhi facendo in modo che fossero le mie dita a muoversi, non volevo pensare a niente, non ci riuscivo era più forte di me; d'un tratto girai la testa nella sua direzione e lui era già lì che mi guardava, mi sorrideva ma nel suo sguardo c'era qualcosa di diverso dal solito, non riuscivo a decifrare i suoi occhi nei quali mi ero persa e non avevo intenzione di ritrovare la retta via.

Mi sembrava quasi una calamita dal quale non potevo allontanarmi, per un attimo il tempo si fermò e l'unica misura di ritmo erano i battiti del mio cuore che ad ogni attimo aumentavano sempre di più;  pensavo che stessi per morire, ma subito dopo pensai che sarebbe stato un bel modo morire così quando l'ultima cosa che avrei visto sarebbero stati i suoi occhi.

Quei maledetti occhi

Lo spazio tra di noi si riduceva sempre di più ad ogni secondo che passava come se la stanza si stesse rimpicciolendo; notai come si stesse piegando per arrivare alla stessa altezza del mio volto, fu solo in quel momento che capii cosa stesse per accadere ed io non mi opposi, lasciai che il fato facesse il suo corso; la sua mano spostò dolcemente i miei capelli sulla schiena, ormai era una questione di secondi affinché accadesse quello che speravo succedesse.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai.

...

"perdonami..."

"Perduta per sempre"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora