Se tardi a trovarmi, insisti

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Sono almeno cinque minuti che, con l'auto spenta, sono fermo sotto casa e non trovo la forza di scendere.
Faccio l'ennesimo respiro profondo e, per il nervoso, batto con violenza una mano sul volante. Il rumore improvviso del clacson causato dall'urto mi fa sussultare. Mi porto due dita sugli occhi stanchi sperando di trovare un leggero sollievo e, finalmente, mi convinco a scendere.

Vorrei poter spegnere il mio cervello. Vorrei zittire le voci contrastanti che ho in testa e avere qualche minuto di totale silenzio. Non vedo l'ora di mettermi a letto... so già che, probabilmente, non chiuderò occhio eppure vorrei solo addormentarmi all'istante pur di far ammutolire i pensieri.

Mi trascino fino alla porta di casa, salendo le scale a fatica. Sento le gambe così pesanti che mi sembra di avere ai piedi dei mattoni.

Penso di aver fatto la cosa giusta.
Allora perché non riesco a provare neanche il minimo sollievo?

Perché provo solo dolore?

Nel momento in cui poggio la testa sul cuscino e chiudo gli occhi, si materializza davanti a me l'immagine dei suoi occhi delusi e pieni di lacrime.

Sospiro.

Sarà una lunga notte.




Il mercoledì, dopo un giorno e mezzo di solitudine e silenzio stampa, mi costringo a riacquisire una minima parvenza di decenza e normalità. Mi rado perché in questi giorni non sopporto niente, barba compresa, poi faccio una doccia e vado ad aprire l'armadio. Gli occhi si posano subito su una camicia verde scuro con collo alla coreana che Simone mi aveva costretto a comprare in un negozio del centro. La tiro fuori e inizio a rigirarmela tra le mani. Mi sembra quasi di tornare a quel momento, con Simo avvolto nella sua sciarpa enorme che mi faceva il labbruccio per convincermi almeno a provarla. Sospiro per l'ennesima volta e la indosso.

È da quando sono rientrato lunedì notte che non sento nessuno. Hanno provato a contattarmi mia madre, Edo, Matteo, Chicca e persino Alessia ma io, da persona matura quale sono, ho ignorato telefonate e messaggi di tutti. Entro la fine della giornata dovrò richiamare almeno mi madre o presto mi ritroverò i carabinieri sotto casa.

La verità è che oggi preferirei farmi investire da un'auto pur di non andare al corso. E la cosa peggiore è che non è Simone che ho paura di rivedere... ho paura di incrociare i suoi occhi e non riconoscere lo stesso sguardo di sempre.

Quando arrivo a teatro trovo la porta d'ingresso già aperta, segno che dentro c'è Edo. Sto per entrare, pronto ad affrontare la prima delle persone con cui dovrò parlare quando sento chiamare il mio nome.

«Dio, non ce credo!» impreco in un sussurro mentre alzo gli occhi al cielo.

Mi giro e, senza darle il tempo di dire nulla, «Alessia, che ci fai qui?» chiedo secco, «speravo non fossi seria quando hai detto che saresti venuta ad ogni lezione».

«Tu continui a non rispondere al telefono! Volevo parlarti e... vederti» mi risponde tranquilla lei.

«E tu continui a non capire che quando uno nun te risponne è perché non vuole parla' co' te. Comunque, oggi non sono proprio in vena de parla' quindi torna a casa».

La vedo scrutarmi per qualche secondo e poi: «Stai bene? Hai delle occhiaie terribili».

«No, non sto bene. Meno di 48 ore fa ho fatto soffrire una persona a cui tengo e sono due giorni che non dormo» e dirlo per la prima volta ad alta voce rende quello che ho fatto spaventosamente reale.

Non se lo aspettava, vedo distintamente la sorpresa sul suo volto. Poi, come sempre, si ricompone.

«Potrei dirti che mi dispiace ma sarebbe da ipocrita e bugiarda».

Come un fiore nella neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora