Abbracci.

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Alexandra's POV

Mi sentivo un sassolino. Piccolo, calpestato da tutti, che affonda facilmente nell'acqua. Perché quello ero convinta di fare, affondare; piano, senza fretta di rimanere asfissiata.

Ero in quel bar con Thomas, lui parlava di tutto, ma io non stavo ascoltando niente. Ero troppo spaventata per ascoltare. Nei due anni che avevano preceduto quella vacanza avevo visto tutto: ospedali, medici e medicine. Ma non avevo mai avuto allucinazioni. Avevo paura di non aver ancora toccato il fondo.

Sentii la mano di Thomas racchiudere la mia sopra il tavolo dove eravamo seduti.

- Sei strana, Alexandra. Mi vuoi dire cosa è successo prima?- mi domandò gentilmente guardandomi negli occhi.

Non volevo dirglielo, dire la verità su di me. Volevo bene a Thomas anche  se non lo conoscevo da molto e mi avrebbe sicuramente giudicata se gli avessi detto la verità sul mio passato. Avrei perso il mio unico amico.

-non è successo niente. Ho solo avuto un'allucinazione, mi capita spesso- mentii sperando che non mi avrebbe chiesto di più.

-Ah, si? E che cosa hai visto?- domandò.

- Ni-niente, mi sembrava di aver visto un ragazzo che veniva investito, per questo ho gridato- spiegai capendo che non aveva senso mentire. Mi fissò e poi disse – So che non è tutto, ho l'impressione che tu mi stia nascondendo qualcosa. Se non me ne vuoi parlare a me va bene, ma devi capire che per qualunque cosa, se vuoi raccontarmi qualcosa o anche stare zitta, io ci sono. Se hai bisogno di qualcuno per qualunque cosa io sono qui. Okay? - mi rassicurò.

Sentivo le lacrime pungermi gli occhi, non risposi, ma mia alzai dalla sedia e andai davanti a lui e lo abbracciai. Avevo il viso contro il suo collo e le sue braccia attorno alla vita. Un abbraccio che conteneva tutti i discorsi che avrei potuto fare, ma che non avrebbero mai potuto equivalere l'intimità di quel contatto. Mi piaceva Thomas, mi piaceva perché mi capiva, capiva quando era il momento di stare in silenzio e non fare domande, quando era il momento di scherzare, quando non doveva insistere. Mi scostai da lui per parlare – Sai, tra una settimana torno a Londra e là non mi aspetta nessuno. C'è mio padre, ma tra il lavoro e la sua compagna a casa non c'è quasi mai. Gli amici che avevo si sono rivelate persone diverse da quelle che credevo. Ma qua ho incontrato te e sei riuscito a capire in pochi giorni quello che mio padre e i miei " amici" non sono riusciti a capire in anni, perciò grazie. Grazie Thomas - e mi strinsi nuovamente a lui, ignorando la vecchietta che continuava a fissarci con disgusto.

***

Eravamo a casa di mia nonna dopo aver trascorso l'intera giornata insieme e ero riuscita a scordare ciò che era successo la mattina. Ero riuscita a ridere, una risata vera, non come quella delle pubblicità. Una risata che parte dalla pancia e che coinvolge tutto il corpo.

Eravamo in camera mia e guardavamo un film con una ciotola gigantesca di pop- corn. Thomas era rimasto a cena a casa mia e aveva assaggiato la grande quantità di ciò ch mia nonna chiama " cena leggera", ma nonostante ciò eravamo sommersi dai pop- corn.

L'attore principale del film aveva appena dato la sua giacca alla ragazza della quale era innamorato e questa cosa mi fece salire una nausea pazzesca.

-Oddio! Non riesco a capire perché le ragazze nei film non riescono a capire che anche se è luglio, la sera comunque del vento c'è quasi sempre , soprattutto se vai con il tuo ragazzo in riva al mare e comunque non portano una maledetta giacca-

Gli occhi di Thomas si illuminarono alle mie parole.

- L'ho sempre pensato anche io! Poi pensa all' uomo. Okay, va bene, hai salvato la tua stupida ragazza da una polmonite, ma che altro vantaggio ne trai? Ora sei tu al freddo e lei comunque non verrà a letto con te, che abbia freddo o no!- esclamò e poi mi guardò per cercare conferma e io annuii vigorosamente.

Iniziò a ridere e lo guardai con aria interrogativa.

- Non c'è niente da ridere! È un problema che affligge tantissimi film che senza quella scena sarebbero quasi accettabili- e questo lo fece ridere ancora di più. Si portò una mano alla bocca e nel farlo la camicia gli salì sul braccio e notai dei segni violacei sul polso.

-Cosa sono quelli?- chiesi preoccupata. Thomas smise di ridere e si tirò le maniche abbassandole in modo che coprissero le parti interessate. – Non è niente- borbottò..

-No Tom- e mi sporsi su di lui afferrandogli il polso e alzai la manica della camicia a quadri. C'erano lividi violacei non soltanto sul polso, ma su tutto l'avambraccio. Mi portai una mano alla bocca e alzai il viso per guardare Thomas in viso, ma vidi soltanto un'espressione stanca. Sapevo già cos'erano quei segni, avevo assistito a uno dei momenti che gliel'avevano provocati.

- E' stato tuo padre, non è così?- domandai e lui annuì abbassando lo sguardo. Si vergognava. Lui si vergognava.

- Vale lo stesso discorso che hai fatto tu a me. Sono pronta a aiutarti, se lo vuoi. Non ti garantisco di saper trovare una soluzione, ma ti prometto che ci proverò se tu vorrai- forse era troppo azzardato dire ciò, ma sentivo che era la cosa giusta da fare.

Si alzò dal letto e si mise le mani nei capelli tirandoli verso l'alto e esplose- io non ce la faccio più. Odio quell'uomo. Ha problemi al lavoro e invece di affrontarli a testa alta si rifugia nell'alcool. È iniziato tutto con un bicchiere in più durante la cena e ora sento la puzza del liquore da metri di distanza prima che arrivi. Tradisce mia madre con chiunque capiti. È questa la sa vita ora. Parte la mattina da casa con i residui della sbronza del giorno prima e ritorna la sera con lo sguardo perso nel vuoto e picchia mia madre se sbaglia l'ordine dei calzini nell'armadio o la posizione delle posate a tavola. Lei lo ama, non reagisce. Ma io lo odio per ciò che è diventato e questo è ciò che devo pagare per fargli notare ciò che è. E sono stanco- la sua voce si ruppe sulle ultime parole. 

Ero bloccata. Non mi immaginavo questo. Sapevo che il padre era aggressivo nei suoi confronti, ma non mi immaginavo fino a questo punto.

Quella sera capii due cose. La prima era che io e Thomas eravamo simili sotto molti punti di vista. Avevamo entrambi paura di qualcosa, entrambi ne portavamo i segni. Entrambi eravamo stanchi.

La seconda la capii quando pronunciò questa frase – Odio l'alcool. Odio tutto ciò che ha a che fare con l'alcool. Odio l'effetto che da alle persone-

Capii che se gli avessi detto la verità su di me, mi avrebbe odiata. Quando se ne andò quella sera mi disse- Ti prego, non dire a nessuno quello che ti ho detto. Lo saprete solo tu e Dylan-

Dylan. Mi ero scordata di lui, non mi aveva chiamato né mandato messaggi per tutto il giorno e anche se all'inizio non me n'ero accorta ci rimasi male per il fatto che non mi avesse considerata.

Mi addormentai pensando che Dylan e la sua idea dell'essere amici potevano andare a farsi fottere. Di nuovo.


SPAZIO AUTRICE

Gente! Non sono troppo soddisfatta dei cosa è uscito dal capitolo, però avevo voglia di pubblicare e l'ho fatto. Spero vi piaccia.

Commentate, voglio sapere cosa ne pensate :)


-Madison

I saw a shooting star and I thought of you- Dylan O'brien-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora