Decisioni.

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( Volevo sottolineare il fatto che la parte che è raccontata dal punto di vista di Dylan accade contemporanea agli eventi che ci sono nel capitolo precedente, questo per evitare confusioni. Detto ciò vi lascio al capitolo, spero vi piaccia (: )


Dylan's POV

Non riuscivo a smettere di pensarci. Camminavo con Julie accanto a me che parlava, ma io non ero capace di ascoltarla. Avevo solo una sensazione addosso e era la sensazione di un bacio, un bacio rubato che aveva avuto tutta la dolcezza della rabbia, ma anche tutto il sapore della rabbia. Un bacio che però non avevo rubato alla persona accanto a me e per questo mi sentivo veramente in colpa. Ma poi, è possibile sentirsi in colpa per una cosa che ti fa stare così bene solo al pensiero?

Rispondevo con monosillabi a Julie mentre percepivo le mani di Alexandra ancora attorno al mio viso. Tutto ciò non era normale. Non era normale che un semplice contatto, ma che era anche così dolcemente complicato, mi facesse sentire così agitato, avevo caldo e iniziavo a balbettare. E quando l'avevo vista andarsene con Thomas avevo sentito rabbia pura scorrere nelle mie vene.

Come avevo potuto dirle di essere amici? Non avremmo mai potuto essere amici, io lo sapevo e lo sapeva anche lei visto che aveva ricambiato il bacio, ma aveva anche accettato, facendomi cadere nella mia stessa stupida trappola.

Se un bacio mi aveva fatto riconsiderare me stesso, essere amici mi avrebbe fatto impazzire. E questo non sarebbe dovuto accadere. Non sarei impazzito anche se per un altro suo bacio ne sarebbe valsa la pena.

***

THOMAS'S POV

Non potevo ancora credere di aver raccontato cosa mi accadeva ad Alexandra. Ero felice perché mi sentivo più libero, come se avessi tenuto sul petto un peso più grande di me e che si era finalmente sollevato.

Una cosa che mi preoccupava era che Alexandra iniziasse a vedermi come un cucciolo ferito. La sua pietà era l'ultima cosa che mi serviva per cercare di resistere alla mia situazione, per evitare che mi schiacciasse definitivamente.

Camminavo veloce sotto un cielo stellato coperto da qualche nuvola; la luna illuminava con la sua luce bianca la strada e le dava un aspetto spettrale. Vidi casa mia in lontananza e delle voci iniziarono già a arrivare alle mie orecchie e chiusi gli occhi spontaneamente come se il buio potesse far in modo che la tranquillità di quella sera non fosse rovinata da quei suoni. Arrivai davanti alla porta di casa e cercai di trovare il coraggio di prendere le chiavi dalla tasca della mia giacca. Ero arrivato al punto di aver paura a entrare in casa mia. Finalmente entrai e vidi mia mamma che era seduta al tavolo della cucina con la testa fra le mani e le lacrime che le bagnavano le guance.

Cercando di mantenere la calma, mi sedetti nella sedia davanti a lei e le presi le mani nelle mie.

- Mamma, devi fare qualcosa. Devi denunciarlo alla polizia- le suggerii piano.

Scosse la testa e sentii la rabbia prendere possesso di me.

-Mamma- la chiamai - non puoi continuare a subire gli effetti dell'alcool che beve lui. Guardati- cercai di farla ragionare.

-Tu non capisci- sussurrò-

-Cos'è che non capisco? Che ti picchia? Che ti tradisce? Perché queste sono cose che capisco molto bene. Ciò che realmente non capisco è come puoi non voler ammettere che l'uomo che ami e l'uomo che era mio padre, non c'è più- stavo quasi gridando a quel punto. Lei scuoteva la testa, come se stessi dicendo tutte bugie, come se non le stessi sbattendo la verità dritta in faccia.

- Mio Dio, per quanto ancora vuoi far finta di niente? Giorni, mesi, anni? Lo sai come andrà a finire se non reagisci in qualche modo, finirà per... distruggerti- mi ignorava, ignorava le mie parole.

Me ne volevo andare di là, tutto ciò che volevo era lasciarmi alle spalle mio padre, mia madre, quella casa. Tentai l'ultima volta - Non dire niente non è amore, è suicidio-

Vedendo il suo sguardo che non cambiava intensità, la lasciai sola e mi diressi in camera mia. Presi il telefono e composi velocemente il numero che ormai conoscevo a memoria.

Una voce assonnata mi rispose dall'altro capo del telefono - Ehi-

-C'è qualcuno in casa?- domandai brusco.

-No-

-Bene- e attaccai, presi una borsa che utilizzavo per gli allenamenti di calcio e ci infilai quanti più vestiti potevo. Presi carta e penna e scrissi un biglietto di spiegazione anche se c'era veramente poco da spiegare. Poi aprii la finestra e mi diressi verso il buio della notte.

ALEXANDRA'S POV

Era passata una settimana da quella promessa di amicizia e non avevo sentito ne visto Dylan neanche una volta. Ero arrabbiata e ciò mi faceva arrabbiare ancora di più. Ero arrabbiata perché ci avevo quasi creduto nelle sue parole, ma forse era solo la conferma che le parole le porta via il vento. Ero arrabbiata perché durante quel bacio rubato si era mosso qualcosa dentro di me. Non avrebbe dovuto, ma era successo qualcosa. E ammetterlo mi faceva bruciare di orgoglio.

Ma più che con lui, ero arrabbiata con me. Con me che non potevo evitare di controllare il telefono ogni pochi minuti, non potevo evitare di guardarmi intorno per strada.

Dopo qualche giorno mi arresi all'idea che lui fosse proprio la persona che dimostrava, che la dolcezza di quel bacio era stata solo apparenza.

Mi convinsi che di lui non me n'era mai importato niente.



SPAZIO AUTRICE

Alloooraaa

Il capitolo è cortissimo e di passaggio, però era necessario per poi collegare i capitoli successivi. Spero vi sia piaciuto.

Un bacio


-Madison

I saw a shooting star and I thought of you- Dylan O'brien-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora