(T)rain

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Sarà masochista, ma quanto cazzo è bello il rumore dei tuoni. È una scossa di adrenalina che fa rizzare i capelli sulla nuca. Metto in tasca il pacchetto di sigarette appena comprato, è anche meglio di questa merda. 

I tuoni sono come la sveglia dell'universo, muoviti, sembrano urlare. Muoviti o muori. Un lampo di luce colpisce un albero a qualche centinaio di metri da qui. Un altro boato. Svegliati. 

Eppure guarderei le gocce che cadono a precipizio dal cielo per ore. 

Mi dondolo sui talloni, le Dr. Martens producono un suono sordo sbattendo sul marciapiede. Non mi va proprio di inzupparmi i vestiti, ma devo prendere quel fottutissimo treno. Sbuffo scendendo il gradino e mi ritrovo in strada. Attraverso senza curarmi delle macchine, con calma, ignorando pure la pioggia, facendo finta che sia qualcosa che non mi riguardi. Fingendo di essere al di sopra di questo dannato temporale, al di sopra delle regole, di tutto. 

Cammino a testa alta, anche se le gocce mi entrano negli occhi, ma non riesco a fermare il brivido che mi sale lungo la spina dorsale all'ennesimo rimbombo del cielo. Come a dire che alcune cose non si possono ignorare, che non è possibile evitare tutto. 

Sorrido senza gioia. Ironico no? Anche il cielo mi ricorda che non sono altro che un burattino, una mosca incastrata in una ragnatela infinita. Cause e conseguenze. Ordini e azioni. È così che funziona. È stato così per mio nonno, mio padre, e così sarà per me. Certo, non posso mica lamentarmi, almeno io non dovrò più stare a combattere in prima fila, non rischierò di morire come lui, non permetterò a nessuno di guardarmi negli occhi mentre cado. 

Arrivo alla stazione che sono le 14.00. L'intercity dovrebbe arrivare a breve. Mi lascio cadere su una sedia. 

Le ore di addestramento mi hanno preparato a fatiche ben più grandi di questa. Eppure mi sento inspiegabilmente stanco. So però che il torpore e la fatica delle ultime settimane, svanirà una volta sul campo. 

Cerco una posizione comoda, ma il tessuto grezzo dei jeans continua a graffiarmi le gambe. Sbuffo. Avrei preferito la mia difesa mimetica, certo, avrei dato all'occhio, ma almeno sarei stato comodo e a mio agio. Mi mordo il labbro e gioco un pò con il piercing di metallo. L'argento è freddo sulla mia lingua, quasi metallico. Ricorda il sapore del sangue. 

Mi passo una mano tra i capelli biondi e la faccio scendere sul viso, tra le sopracciglia, fino ad arrivare al mento. Sto mettendo la maschera. 'Ehilà sono Andrea.' Immagino di dire mentre sorrido e saluto con la mano. 'Primo anno di magistrale. Come dici? Sei un fuori sede, capisco. Io? No. Sì lo so, sono fortunato. I miei genitori erano entrambi di qui.' 

Sbatto un pugno sul tavolo. Sono, devo dire sono. Altrimenti sarebbe una storia troppo particolare, un povero orfanello, chissà come ha fatto ad arrivare fin lì, chissà come può permettersi un attico in centro Milano. Troppe domande. Troppe attenzioni. Non va bene. Devo essere uno fra tanti, mescolarmi alla perfezione e incastrarmi come un pezzo di un puzzle.

So di non poter fare errori. So anche di aver portato a termine missioni peggiori di questa. Scuoto la testa. Non esiste un compito più impegnativo di un altro. Pensarlo significa rischiare di prendere le cose sotto gamba. E questo non può succedere. 

'Il treno alta velocità Freccia rossa diretto a Milano Centrale è in partenza dal binario due'.

Scatto in piedi all'annuncio del treno e faccio per dirigermi verso la carrozza più vicina. Una vecchietta avvolta in un vecchio cardigan mi guarda storto da sotto gli occhiali a mezzaluna e si schiarisce la gola. Mi giro di scatto e sbotto 'Che vuoi?'  'Non fare il furbo, li conosco i giovani come te. Chissa quanto devono vergognarsi i tuoi genitori.' Mi trattengo dal fare cose di cui poi mi potrei pentire e mi limito a voltarle le spalle. È divertente quanto le persone credano di sapere di te, ma ancora più esilarante il fatto che in realtà non hanno la più pallida idea di chi tu sia. O di chi fossero i tuoi genitori. Probabilmente mia madre avrebbe preferito che io fossi il drogatello tatuato e coperto di piercing che questa signora sta visualizzando nella sua mente. Non ho tempo per tutto questo ora, riprendo a camminare e salgo sul treno.

Mi accomodo in un posto totalmente a caso. Decido che quello è il mio sedile. E lo sarà per le prossime 4 ore, sempre che non cambi idea. Ma sono piuttosto stanco e sono consapevole di dover risparmiare energie per quando arriverò. 

Vedo un controllore avvicinarsi. È bionda, capelli lunghi e occhi grandi. È carina, giovane. Probabilmente ingenua. Si ferma davanti a me. 'Biglietto e seat reservation per favore.' Sorrido. Coraggiosa a pensare che io abbia fatto il biglietto. Come se avessi bisogno di quei ridicoli pezzetti di carta. Sono in missione, non sto andando in vacanza. 'Certo, subito', scopro leggermente la clavicola spostando il collo della maglietta. Adoro l'effetto che questo simbolo ha sulla gente. Lei diventa pallida all'istante e balbettando qualcosa di incomprensibile, se ne va. Guardo la sua coda di cavallo ondeggiare mentre continua a percorrere il vagone. Meno inesperta di quanto pensassi. Mi rilasso sullo schienale del sedile.

Lasciare il mare, la pizza e il calore di Napoli per la pioggia e la nebbia milanese non è una cosa che mi entusiasmi particolarmente. Ma devo ammettere che avere un margine di respiro e voce in capitolo per quanto riguarda la tua vita non è poi così male. Guardo il paesaggio diventare colori mischiati, tutte le forme fuori dal finestrino diventano confuse. So che è un'illusione. Ne sono consapevole. Posso giocare per un pò a fare il capo di me stesso. Mentre qualcun altro tira i fili. 

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