Fruängen

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Osservare le persone era la sua attività preferita.
Guardare e cogliere i minimi cambiamenti d'espressione lo faceva sentire potente, perché solo lui in quel momento riusciva ad accorgersi di quella mutazione, di quel movimento di ossicini nel viso che facevano corrugare la fronte o che permettevano di distenderla.
Era sempre stato bravo ad intercettare il fastidio, la noia, l'eccitazione, la felicità, il dubbio nei visi altrui.
Erano anni che si allenava, probabilmente fin dalla nascita, dalla prima infanzia, periodo di cui non aveva ricordi, ma che era certo fosse stato l'origine di tutto, ad osservare il mondo circostante.

La curiosità verso gli altri era sempre stata un suo punto a favore, perché sapeva come porsi con gli altri, come comportarsi in base alle reazioni che otteneva quando decideva di parlare in un certo modo, di esprimere un certo pensiero, di ridere con la mano davanti alle labbra o di mostrare i denti bianchi.

Proprio per quello il suo posto felice era il vagone di una metropolitana, un qualunque sedile più o meno comodo nel mezzo più affollato della città.

Trascorreva in media circa due ore al giorno su quel mezzo così veloce e così pieno di storie, emozioni, parole, suoni.
Ed ogni giorno viveva storie diverse solo guardandosi attorno, ficcando il naso nei discorsi altrui.

Erano ormai sedici mesi che prendeva la stessa metro alla stessa ora, eppure non aveva mai incontrato due volte la stessa persona, la stessa storia.
Perciò rimase molto sorpreso quando, un venerdì mattina, proprio prima dell'inizio del weekend, un ragazzo con i capelli color miele salì sulla sua stessa carrozza.

Christian aggrottò la fronte, stupito, ed osservò il ragazzo sedersi a due isole di distanza dalla sua vicina alla porta d'uscita, perché, nonostante sapesse che nessuno prestasse attenzione a lui, era troppo spaventato di dover percorrere un intero corridoio da solo sotto lo sguardo di altri sconosciuti.

Il ragazzo biondo, invece, sembrava non badare a ciò che gli altri pensavano di lui.
Da che cosa l'aveva capito Christian?
Dal fatto che canticchiava ad alta voce le canzoni sparate ad alto volume dalle sue cuffiette col cavo bianco.

Il giorno precedente, quando aveva sentito la voce di quel ragazzo, era quasi scoppiato a ridere perché era maledettamente stonato e fuori tempo e le parole erano tutte sbagliate.

Aveva passato tutto il viaggio con lo sguardo su di lui, cosa che raramente accadeva, siccome era un ambiente molto stimolante e la soglia di attenzione di Christian era piuttosto bassa.

Quando poi l'aveva visto scendere, aveva chinato la testa, nascondendo gli occhi sotto un nido di ricci scuri strizzandoli leggermente per cercare di imprimere nella memoria quell'immagine.
Il ragazzo gli era sembrato così spensierato, così libero, così sè stesso, che a Christian era venuta voglia di piangere dalla felicità per lui, uno sconosciuto.

Perciò, quando quella mattina il biondo iniziò ad intonare una nuova canzone storpiata, appoggiò la nuca al sedile di spugna blu e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi solo sul senso dell'udito, perché troppo spesso la vista offuscava gli altri sensi, prevalendo su di essi.

Sei proprio stonato biondino.

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