Liljeholmen

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Christian aveva evitato per giorni la metropolitana, impaurito e spaventato da quelle sensazioni scalpitanti che aveva provato nel momento in cui la sua personale fonte di felicità aveva aperto bocca e gli aveva parlato e, non solo, aveva pronunciato una parola in italiano.

Il moro si sentiva scosso, quasi come se la terra avesse tremato sotto i suoi piedi e lo avesse fatto cadere a terra perché, nonostante avesse imparato molto bene la lingua utilizzata in quel paese, aveva pur sempre vissuto per diciannove anni in Italia ed era quello il mezzo comunicativo con cui più si identificava e in cui si esprimeva più facilmente, con più veridicità.

Quando si era reso conto che l'altro lo avrebbe potuto capire ancora meglio perché comunicavano nello stesso modo e questo avrebbe fatto sì che non ci fosse nessuna barriera tra di loro, solo i vestiti e nient'altro, si era sentito scuotere dentro.

Per giorni, esattamente quattordici, Christian aveva raggiunto il proprio lavoro con il pullman, per poi camminare per un chilometro fino al suo ufficio situato in una delle zone più chic della città, mettendoci circa il doppio del tempo.
Guadagnava bene, ma era un ragazzino e non poteva permettersi un appartamento in centro, soprattutto perché non sapeva quanto a lungo avrebbe resistito completamente solo, senza mai avere un contatto umano significativo.

Christian odiava stare in mezzo a tanta gente, ma odiava di più la propria compagnia, la solitudine che lo avvolgeva e le domande insistenti che non gli davano tregua. Perciò continuava ad alloggiare in una piccola casa ai bordi della città, troppo lontana dal centro, dove lavorava, e da tutti i locali più in voga.

Non gli era mai importato di uscire il venerdì, il sabato o qualsiasi giorno della settimana, ma quel mercoledì sera era il compleanno del suo coinquilino e, quest'ultimo, aveva invitato tutti a festeggiare in un piccolo pub sotterraneo, dove erano solite esibirsi band emergenti.
Avevano bevuto, Christian più degli altri perché non si sentiva proprio a suo agio, fumato, Christian aveva rifiutato perché i suoi nonni erano morti a causa di alcune complicanze causate dal fumo, quindi, per principio, non voleva prendere in mano neanche una semplice sigaretta, e ballato,  Christian, mezzo ubriaco, aveva dimostrato a tutti di saperci fare sulla pista.

Erano poi arrivate le tre di notte, segno che la metro stesse per chiudere, perciò i quattro coinquilini si erano diretti verso la fermata più vicina, la stessa a cui scendeva Christian ogni giorno della settimana.

Il ritorno a casa era stato lungo e terribilmente gelido, vista la temperatura sotto lo zero, e le ore di sonno erano volate via velocemente, così velocemente che Christian si era dimenticato di impostare la sveglia.

Per fortuna, era intervenuto il suo corpo a farlo svegliare di soprassalto, a farlo vestire velocemente e a saltare la colazione per riuscire ad arrivare in tempo.

A causa di quel piccolo intoppo, però, il bus era ormai passato da un pezzo, perciò Christian aveva strascicato i piedi fino alla stazione della linea rossa e si era lasciato portare al livello dei binari dalla scala mobile.
Finalmente seduto, si era massaggiato le tempie per cercare di allontanare il mal di testa e la nausea che lo attanagliavano da quando aveva aperto gli occhi mezz'ora prima.

Era così concentrato sul cercare di non vomitare che neanche si accorse di aver passato la fermata del biondino.

Quando realizzò di essertela lasciata alle spalle alzò lo sguardo sull'isola incriminata e la trovò vuota.
Nonostante avesse evitato per giorni la metro a causa del biondo, adesso che non lo vedeva una sensazione di delusione e rammarico lo aveva colpito.
Aveva ingenuamente pensato che lui sarebbe stato ancora lì, al solito posto, ad aspettare che quello strano ragazzo italiano tornasse a parlargli.

Ma perché?
Perché Christian si sentiva sempre così?
Come se fosse degno dell'attenzione altrui, quando poi non faceva nulla per attirarla?
Era sempre stato un ragazzo romantico, un inguaribile romantico, uno di quelli che si aspetta di trovare l'anima gemella su un treno qualunque, in un cinema qualunque, in una palestra qualunque, dopo un solo sguardo, un solo sorriso, una sola parola.
E tutti gli dicevano "arriverà quando meno te lo aspetti" ed erano anni che ormai si era arreso e pensava che sarebbe rimasto solo per sempre, quindi, teoricamente, l'amore della sua vita sarebbe già dovuto essere lì al suo fianco, ma niente, era ancora solo ad andare in vacanza, in piscina, a fare la spesa, a Natale, a Capodanno, ad Halloween, a San Valentino.

Christian si chiedeva quando, quando sarebbe capitato a lui.
Aveva così tanta voglia di amare qualcuno che i suoi occhi pizzicavano ogni volta che qualcuno si avvicinava e lui si illudeva, ogni volta, di avere davanti QUELLA persona, per poi accorgersi che, al contrario, era solo una delle tante persone che entravano nella sua vita per poi uscire.

Quando? Quando?

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