Mariatorget

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Christian e Mattia ormai si conoscevano da due settimane, ma al moro sembrava di averlo sempre avuto nella sua vita.

Ogni mattina si sedevano nella loro isola, quella di Christian, e iniziavano a raccontarsi i dettagli più insignificanti delle loro giornate, passate a lavorare.
Mattia era un ballerino presso il balletto della città, era un pezzo grosso da quanto aveva potuto leggere online.
Non gli piacevano troppo i dolci, fatto che aveva destabilizzato il moro che, tanto goloso quanto permaloso, si era risentito nel sentire che il tiramisù altro non era che un "cibo calorico e sopravvalutato", e a colazione mangiava sempre una roba super salutare chiamata porridge.
Per curiosità aveva provato a prepararselo, ma era giunto alla conclusione che i cibi salutari e senza gusto proprio non facevano per lui, che aveva sempre bisogno di dolcezza per iniziare la giornata.

Il venerdì, l'ultimo giorno della settimana in cui si vedevano, siccome Christian non lavorava il sabato e la domenica, al contrario di Mattia che si allenava tutti i giorni, aveva preso l'abitudine a regalargli un piccolo girasole per ricordargli che lo avrebbe pensato in quei giorni di lontananza.
Mattia, al momento, ne possedeva 3.
Sperava solo che il biondo apprezzasse quei gesti, fin troppo sdolcinati, perché il suo portafoglio di sicuro non lo faceva, ma... non gli importava perché avrebbe fatto di tutto per vedere il sorriso che gli illuminava il viso ogni volta che si accorgeva di quel piccolo regalo già lo tra le mani del più grande.

In quel momento, ad una decina di fermate di metro da quella in cui Christian sarebbe sceso, i due stavano discutendo su quanto la pizza lì facesse schifo.
«Cioè ma che genere di formaggio è quello che mettono sopra?» esclamò il moro facendo ridacchiare sommessamente l'altro.
Erano gli unici a parlare, gli unici a ridacchiare, gli unici ad essere felici, perché lì, in quella città ed in quel paese così diverso dalla loro terra natale, o meglio, natale per Christian, l'altro aveva sempre vissuto lì, tra il freddo e tra le persone fredde, spiccando come il primo fuori che spunta in montagna in primavera quando la neve inizia a sciogliersi al primo caldo della stagione, erano gli unici a sembrare vivi.
Dal lunedì al venerdì, infatti, gli abitanti di quella metropoli sembravano automi, concentrati sugli obiettivi da portare a termine o da raggiungere, dimenticandosi del fatto che, in realtà, anche in settimana si può vivere e si può essere felici, anzi, che soprattutto in settimana si deve cercare qualcosa per cui essere felici, altrimenti il lavoro, la scuola, l'università diventano opprimenti.

«E poi cos'è sta pizza salad? Mai sentita nominare prima di arrivare qui...» continuò il moro troppo concentrato a maledire il modo in cui avevano distrutto la pizza, la sua amata pizza italiana, per accorgersi dello sguardo serio dell'altro.

«E poi quel ristorante in centro? Quello nella via principale che collega la parte vecchia al quartiere più nuovo... beh, sai qual è, millanta di vendere la vera pizza napoletana... inutile dire che è più fine della pizza romana, bah»

Il moro, giunto all'apice del fastidio, si concentrò di nuovo sul biondo e vide la sua faccia deformata da un'espressione esitante.

«Che?» domandò con il sangue che ancora ribolliva per l'indignazione.

Christian era un tipo calmo.
Poteva essere paragonato ad un orsetto, un po' come Winnie the Pooh, che mangia e dorme tutto il giorno, tranquillo con la pancia piena.
Ma si sa, all'orsetto non si deve toccare il suo miele o gli amici, altrimenti impazzisce e rade tutto al suolo.

E Christian era un orso innamorato della sua Italia.

Non se ne era mai reso conto, mentre ancora abitava nel suo piccola cittadina di al nord, troppo concentrato ad odiare tutto e tutti, a ragione visto che gli rendevano l'esistenza un inferno sulla terra.
Ma, dopo due anni di assenza dallo stivale, si era reso conto che gli mancava tutto: l'aperitivo, le cene estive all'aria aperta, le feste di paese, il pane sul tavolo al ristorante, il sorriso delle persone che incroci sulla via di casa, le risate rumorose quando qualcuno fa una battuta.
Gli mancava addirittura maledire i treni e gli autobus costantemente in ritardo, le code davanti alla banca o alla posta, gli anziani che si lamentavano dei tempi odierni e rimuginavano su quanto il passato fosse stato migliore.
Okay, forse non gli mancava dover aspettare di passare dal medico che, inspiegabilmente, già alle 8 del mattino, al primo appuntamento, era in ritardo, ma... gli mancava sentirsi a casa.
Quella era la sua nuova casa, ma non si sentiva mai completamente a suo agio.
Gli mancava passeggiare per strada e sentire il profumo della pizza, i ragazzini che, cercando di essere trasgressivi, ascoltano musica rap ad alto volume, incontrare persone che si conoscevano da una vita.

«Chri, oh! Sei ancora tra di noi?» domandò il biondo schioccando due dita di fronte al suo viso.
A volte capitava. Christian faceva davvero fatica a non perdersi nei brogli della sua mente.
Aveva una soglia di attenzione molto bassa, cosa che aveva reso i suoi anni a scuola un vero incubo, soprattutto perché le sue maestre ed i suoi professori lo avevano etichettato come scansafatiche. Quando poi era arrivata la certificazione a testimoniare che c'era effettivamente qualcosa che non andasse nel modo in cui il suo cervello sembrava scollegarsi dopo ogni tot minuti, si era sentito un po' sollevato, perché finalmente poteva dire a tutti che non era colpa sua, ma del suo cervello.
Peccato che, negli anni in cui Christian aveva frequentato la scuola, le certificazioni ancora non erano viste di buon occhio dalle insegnanti, perciò avevano continuato a considerarlo un pigro.

Christian battè le palpebre e mise di nuovo a fuoco il viso perfetto del biondo.

«Sì... sì scusa» balbettò a disagio.
Il biondino inarcò un sopracciglio, ma non fece domande.

«Beh sì, volevo dirti che mio padre... ecco, mio padre è il pizzaiolo di quella pizzeria in centro.»

Il viso di Christian sbiancò velocemente e si sentì subito un deficiente.
Ormai era abituato a sentirsi così quando il più giovane era nei paraggi, si sentiva sempre inferiore, sempre sui tizzoni ardenti in attesa del momento in cui la pianta dei suoi piedi si sarebbe inevitabilmente bruciata.

Christian si ammutolì e distolse lo sguardo da quei due acquitrini azzurri, velati dal disappunto per le parole condivide dal moro.
Qualche secondo dopo la mano del biondo strinse il ginocchio ossuto del moro per attirare la sua attenzione e, soprattutto, per tirarlo fuori dallo sconforto in cui era caduto.

Mattia era frastornato.
Il ragazzo seduto di fronte a lui era una montagna russa impazzita: prima era al settimo cielo, poi cadeva nella tristezza più sconfinata.

«Chri sto scherzando. Non so chi sia quel pazzo che vende pizza in centro» sussurrò preoccupato il biondo perché il moro ancora aveva gli angoli della bocca rivolti verso il basso e le mani ancorate al sedile morbido su cui era seduto.

Christian scosse la testa cercando di allontanare le paranoie che lo stavano portando lontano dal qui ed ora, dal suo girasole.
Con il calore dell'altro come bussola puntata verso il nord, lentamente tornò nel presente.
E, nuovamente, un'altra ondata di vergogna lo colpì, facendolo rendere conto di quanto poco fosse adatto a vivere nel mondo, a contatto con altri.

«Io... Scusa... Io...» iniziò a dire, ma le parole per finire non riuscivano ad uscire, anzi si accavallavano una sull'altra, stringendogli sempre più i polmoni in una morsa. Il moro si portò una mano all'altezza del petto ed iniziò a massaggiare lentamente l'area, proprio come gli  era stato insegnato dalla terapista che l'aveva seguito per qualche anno, prima che si trasferisse al di fuori dell'Italia.

«Ehi! Non agitarti Christian. È tutto okay.» cercò di rassicurarlo il biondo, per poi aggiungere un «Vieni.» veloce.

Il biondo trascinò il grande fuori dalla metropolitana, che chissà quale stazione aveva raggiunto, e lo spinse dietro ad un cartello pubblicitario che promuoveva un centro dentistico.
La schiena del moro si adagiò contro la colonna di mattonelle lucide e spinse indietro la testa cercando di respirare il più profondamente possibile.
Erano mesi che non gli succedeva una crisi del genere e, ogni volta, si dimenticava di quanto si sentisse debole quando il suo corpo lo tradiva in quel modo.

Dopo qualche secondo di smarrimento, in cui non capiva neanche se fosse seduto o in piedi, le braccia muscolose del ballerino si strinsero attorno al suo corpo tremante e lo costrinsero ad adagiarsi contro l'altro, a lasciarsi completamente andare tra le sue braccia.
E Christian per la prima volta da anni, si sentì in pace con sè stesso, come se sapesse di essere al sicuro tra quelle braccia, come se sapesse che tutto sarebbe andato bene se l'altro fosse stato al suo fianco.

Rimani, ti prego.

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