Hägerstensåsen

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Christian salì come al solito nel primo vagone, il più sicuro per lui e per le sue paranoie.
Era la solita mattina fredda di un giorno piovoso, con i nuvoloni neri e carichi di pioggia ad oscurare la città.

Christian amava la pioggia, i tuoni ed i lampi, lo facevano sentire elettrico, come se l'elettricità dei lampi corresse dal punto in cui aveva toccato a terra fino a lui, ai suoi piedi.
Ma quella mattina tutta quell'elettricità non era dovuta solo alla pioggia.

Oh no.

Ormai erano due settimane che saliva sulla metro ed aspettava impaziente quattro minuti con lo sguardo puntato sulle porte alla sua sinistra, da cui, puntualmente, entrava il suo pendolare preferito.

In quegli anni aveva osservato centinaia, forse migliaia di persone diverse, ma mai nessuno aveva attirato la sua curiosità in modo così dirompente.
Forse anche perché non aveva mai visto due volte la stessa persona.

Seduto nella solita isola lasciò vagare lo sguardo sul paesaggio circostante, avvolto da una coltre grigia.
Nelle cuffie bluetooth aveva una canzone dei Cigarettes After Sex, ormai colonna sonora della sua vita più o meno monotona.

Gli piaceva il suo lavoro, era felice di riuscire a permettersi una piccola camera in una casetta al confine della città, in un quartiere familiare, ma non andava mai a dormire con la voglia di riaprire gli occhi per tornare nel suo ufficio, nel suo piccolo cubicolo quadrato e spoglio.

Aveva sempre desiderato diventare un ballerino, soprattutto da quando si era trasferito a nord e si era lasciato alle spalle tutte le critiche della sua cerchia di amici, ma i corsi costavano troppo e spesso non erano svolti in inglese.

Perciò si limitava a danzare nella sua mente, quando raggiungeva la sua fermata prima di iniziare la giornata o nel tragitto che percorreva per tornare a casa, perché la sua casetta era abitata anche da altri ragazzi, più o meno della sua età, e non voleva condividere con loro quella parte di se, troppo impaurito dai loro giudizi.
Con loro stava bene, ma c'era sempre qualcosa che lo costringeva a tornare in camera sua dopo qualche ventina di minuti trascorsi con loro.
Le sentiva le loro risate ad alta voce la sera, quando si incontravano tutti insieme al tavolo della cucina a parlare della loro giornata.
Era un momento speciale per gli inquilini di quella casa, perché nonostante le vite completamente diverse (alcuni studiavano, altri lavoravano) cercavano sempre di ritagliarsi un momento per loro, per condividere qualche presa in giro o qualche parola affettuosa per gli altri.
Temeva sempre che parlassero male di lui, ma la sua paura di mostrarsi per quello che era prevaleva sul timore di essere giudicato.

Quando la metro aprì le porte quella mattina, il moro vide il biondo appena mise piede sul mezzo di trasporto ed un sorriso sollevato fece capolino sulle sue labbra fini e screpolate dal freddo.
Ormai era questione di giorni e la neve sarebbe arrivata a ricoprire i tetti di quella città frenetica.

Ma quella mattina il ragazzo biondo non era il suo ragazzo biondo.

La sua voglia di cantare sembrava essere sparita e al posto delle scintille negli occhi blu, il moro vide un mare di lacrime.

Avrebbe voluto avvicinarsi, chiedergli perché piangeva e che fine avevano fatto le sue canzoni allegre, ma si fermò giusto in tempo, proprio quando una ragazza dai capelli castani si accomodò al suo fianco, nella sua isola centrale, e posò un bacio sui capelli scompigliati del suo pendolare preferito.

Lo stomaco di Christian precipitò.

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