Gamla Stan

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Alla fine i due quel sabato non si erano visti.

Mattia era stato chiamato per un allenamento serale e, dopo un breve messaggio di scuse, avevano deciso di rimandare al weekend successivo.

Christian ci era rimasto male.

Quando quel sabato pomeriggio il suo telefono aveva vibrato ed aveva visto il nome di Mattia scritto sul suo schermo aveva sentito scintille accarezzare la sua pelle, per poi essere sostituite quasi subito da un'ondata di rabbia quando aveva letto il contenuto della notifica.

Christian era arrabbiato con sé stesso, non dall'altro.

Era arrabbiato perché ci era rimasto malissimo e non avrebbe dovuto dato che si conoscevano da una manciata di settimane, non abbastanza per sentire le lacrime agli occhi e il cuore tremare.

Perciò, spinto da quel mostriciattolo rosso chiuso dentro la sua testa, si vestì in fretta e furia in modo da prendere la prima metropolitana disponibile e si diresse in centro dove già c'erano i suoi coinquilini, pronti ad un altro sabato di follie.

I ragazzi furono sorpresi di vederlo, ma non fecero parola, anzi, gli sorrisero e spinsero verso di lui una birra spuntata dal nulla, accogliendolo nelle loro conversazioni rese stupide dall'alcol presente nei loro corpi.

Christian si sforzò di restare.
Strinse i denti e cercò di partecipare alle chiacchiere da ventenni, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era quanto si sentisse fuori luogo e quanto quella sensazione non l'avesse mai provata con Mattia, nemmeno le prima volte in cui gli aveva parlato.

Era spaventato, all'inizio, dalle forte emozioni che provava, ma mai dall'altro, mai.

E di fronte al suo cervello che continuava a costringerlo a sottolineare tutte le sensazioni positive che Mattia gli faceva provare, Christian continuò a bere, birra dopo birra, sbottino dopo sbottino, incurante del fatto che il giorno dopo sarebbe stato malissimo dato che non aveva mangiato nulla.

Ma i suoi amici lo guardavano divertiti e facevano il tifo per lui, pensando che tutto andasse bene, che stesse bene solo perché finalmente era uscito con loro come pensavano dovesse fare un normale ventenne, quando, in realtà, stava peggio del solito.

Quando beveva il suo cervello diventava una cavalletta impazzita, era ancora più confuso rispetto al solito e faceva ancora più fatica a concentrarsi su una singola conversazione, su un singolo oggetto, su un singolo pensiero, e la sensazione che provava vera simile alla nausea dovuta ad una centrifuga, un po' come quando da bambini si sale su quella giostra che gira in tondo.

Ore e chissà quanti altri pensieri confusi dopo, si ritrovò a ballare in mezzo alla pista di un locale nel centro della città.
Era conosciuto come locale gay, ma ogni settimana attirava gente etero, gay e bisessuale promettendo feste folli.
Il "Secret Garden" era un'esperienza senza eguali. Ogni individuo si sentiva a proprio agio e la musica era così ipnotica da costringere tutti a lasciarsi andare.

E Christian ballò con i suoi amici senza farsi problemi, dimostrando a tutti che con la danza ci sapeva fare, che aveva il senso del ritmo nelle vene e che era popolare tra gli sconosciuti.
Numerosi ragazzi e ragazze si erano avvicinati a lui e avevano cercato di ballarci assieme, ma Christian sembrava non notarli, troppo concentrato sulla musica e sul cercare di spegnere il suo cervello sovra eccitato dalle bevande assunte.

I suoi amici iniziarono a capire che la sua presenza non era dovuta ad un'improvvisa voglia di divertirsi, di fare gruppo, di uscire, ma a qualche cosa che lo faceva stare male.

Se ne accorsero quando continuava a respingere le altre persone preferendo ballare da solo.

Se ne accorsero quando un ragazzo dagli occhi blu, così simili a quelli di Mattia, provò a parlargli e lui lo respinse con gesti tristi.

Se ne accorsero quando fu costretto a ballare con quel ragazzo perché continuava ad insistere ed il loro coinquilino era troppo stanco per dirgli no un altro volta.

Se ne accorsero quando i suoi occhi sconfitti iniziarono a vagare per la stanza quasi cercasse qualcuno o qualcosa, quasi sperasse che qualcuno o qualcosa potessero salvarlo da quel ragazzo così ammaliato dai suoi occhi verdi che ancora continuava a passargli le mani sulle braccia, sui fianchi, sul sedere senza fargli provare nulla.

Se ne accorsero quando si appoggiò al corpo più esile del ragazzo dagli occhi blu in cerca di sollievo dalla sua mente, che continuava a mostrargli il sorriso bianco e gli occhi più blu, più puri, più felici di Mattia.

E cercarono di salvarlo, di riportarlo nel presente, nella discoteca, ma Christian si era perso nel suo mondo caotico, nel suo labirinto di pensieri ingrovigliati e asfissianti.
E lui, Christian, sapeva che solo una persona avrebbe potuto salvarlo, ma non c'era.

Non c'era, non c'era, non c'era.

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