Midsommarkransen

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Ingen påstigning diceva la scritta sul bordo della metro e Christian iniziò a sbuffare, perché oltre al mal di testa martellante che non gli dava tregua da giorni e che gli impediva di dormire, ora si aggiungeva anche il malfunzionamento delle linee di trasporto, del tutto non giustificate dato che ancora la temperatura non era così bassa da congelare le rotaie.

Ad ogni modo, aspettò seduto su una panchina, quella che sapeva essere posizionata di fronte al suo vagone preferito, con le chiappe che si congelavano perché, okay la temperatura non era così bassa da causare mal funzionamenti, ma abbastanza da fargli venire la pelle d'oca, soprattutto a lui che, dopo due anni, ancora era abituato al clima italiano.

Quando finalmente sentì il rumore metallico del mezzo sovrastare il suono dolce della canzone che aveva scelto quel giorno per rilassarsi, si alzò e si preparò a conquistarsi la sua solita isola.

Ma, davanti a suoi occhi, si palesò uno dei vecchi mezzi, quelli che di solito venivano usati in centro città per rendere l'atmosfera più caratteristica, e sapeva già che la configurazione sarebbe stata diversa e che avrebbe dovuto dire addio alla sua solita routine.

Il ragazzo biondo non si vedeva da settimane, ma Christian non aveva mai smesso di sperare che tornasse.
Perciò, quel cambio di piani, lo mandò in panico, più del dovuto, perché magari proprio quel giorno il suo ragazzino biondo avrebbe deciso di tornare e non sarebbe riuscito a trovarlo, magari proprio quel giorno avrebbe trovato il coraggio di parlargli, ma non avrebbe potuto farlo perché non era seduto al solito posto.

Maledisse la compagnia a capo dei mezzi di trasporto ed entrò in un vagone a caso, lasciando cadere il corpo stanco sul sedile di spugna marrone contro il finestrino e appoggiò la testa contro la parete a puntini arancioni e rosa.
Voleva restare sveglio per aspettare l'eventuale comparsa del biondo, che di sicuro avrebbe migliorato la sua giornata, ma le sue palpebre si chiusero oscurando il mondo esterno.

Sentì il suo braccio venire scosso, ma voleva solo continuare a dormire per recuperare le ore di sonno perse in quelle notti insonni.

«Ancora un secondo, per favore» mormorò il ragazzo dai ricci scuri.

Ma la mano non mollò la presa e continuò ad agitare il braccio dell'addormentato.

«Ehi, credo che tu abbia saltato la tua fermata!»

Christian, seppur ancora mezzo addormentato, capì immediatamente chi era il proprietario di quella voce e, velocemente, aprì gli occhi e si raddrizzò, facendo collidere la sua testa riccioluta con quella del biondino.

«Cazzo» esclamarono all'unisono nella loro lingua madre.

Christian spalancò gli occhi verdi e marroni e, se solo fosse stato più cosciente, sarebbe svenuto all vista di quegli specchi azzurrini a pochi centimetri dal suo viso, ma tutta la sua concentrazione si fermò su quella singola parola pronunciata a bassa voce a causa del dolore.

«Parli italiano?» sussurrò trepidante il moro, con una nuova scintilla di felicità a scaldargli il petto, come se la sola vicinanza del biondo potesse trasmettergli la sua immancabile felicità.

Il biondino, per nulla stupito dalla domanda del ragazzo con le lentiggini sul viso, annuì e continuò a massaggiarsi il punto in cui la sua testa aveva colpito il cranio di quel ragazzo buffo.

Nel frattempo la metropolitana si era fermata altre due volte, avvicinandosi sempre di più al capolinea, ma ai due ragazzi non sembrava importare.

Il moro, sopraffatto da quel grumo di emozioni indefinite, scoppiò a piangere, abbracciando di slancio il corpo muscoloso del ragazzo biondo, seduto al suo fianco.

Le mani del moro rimasero ferme sulla schiena ampia del ragazzo biondo per qualche istante, prima che il proprietario si accorgesse di chi stesse stringendo a sè.

All'improvviso la paura di essersi messo troppo a nudo si fece strada in lui e, anche grazie al tempismo perfetto del mezzo tanto amato, si alzò velocemente e fuggì da quella vecchia carrozza, senza neanche voltarsi indietro una volta.

Non sapeva dove si trovava, non aveva nemmeno guardato il nome della fermata, ma continuò a camminare velocemente, salì le scale a due a due, sorpassò altri pendolari, si lasciò alle spalle le porte scorrevoli e i controllori, non si fermò finché raggiunse la superficie e, finalmente, riuscì a respirare profondamente e a metabolizzare quanto appena accaduto.

Con il petto ancora scosso da respiri profondi, cercò di dare un senso al calore improvviso che lo aveva colpito appena il ragazzo dagli occhi blu aveva aperto bocca per pronunciare quella stupida parola in italiano.

Di solito si eccitava per i corpi, non per le parole di perfetti sconosciuti.

Sono forse a casa?

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