138

1.7K 95 4
                                    

Contare i respiri non serve a un cazzo

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Contare i respiri non serve a un cazzo.

No. Non è vero.

Solitamente, contare i respiri l'aiuta. Da quando ha cominciato a vedere la psicologa, Simone ha scoperto un'infinità di metodi per provare a calmarsi e, fra tutti, contare i respiri è quello che l'aiuta di più.

Vero è che il solo contare i respiri inizialmente a nulla serviva, come è vero che Simone, quella mattina, s'è scordato le pillole.

Le stesse pillole che- come ci tiene sempre a sottolineare la psicologa, Maria, la psicologa che Simone vede da sei mesi- serviranno soltanto per tenere a bada l'eccessiva emotività che sta caratterizzando quel periodo, che non è un modo garbato per dirgli che l'ultima volta che ha perso la brocca ha provato a schiantarsi face first contro un muro.

Non lo è.

Ritornando alle pillole, le pillole che quella mattina Simone s'è scordato, quelle che l'aiutano a tenere a bada un'emotività che in quel momento tanto a bada non è.

Ecco.

Il pensiero che, forse forse, a peroccuparlo così tanto sia più il pensiero d'aver scordato le pillole che il fatto concreto di non averle prese, per un attimo lo sfiora, ma è talmente flebile che vola via come è arrivato.

A prestarci attenzione, a provarci almeno, è diventato abbastanza difficile seguire una qualsiasi linea di pensiero che diverga dalla catastrofica catena di conseguenze che lo scordare le pillole potrebbe causare.

Simone è quasi completamente certo che quella sera non tornerà a casa.

Stupido, stupido Simone.

Bastava ricordarsi di prendere le pillole.

Nemmeno contare sui polpastrelli lo sta aiutando, e i respiri li ha persi almeno centoventi numeri prima- centoventuno, ventidue, ventitré-

E le sue mani comunque non dovrebbero essere così sudate, è Settembre, non fa caldo, non riesce a capire perché ha le mani così sudate.

E la gola? Ci sono delle dita, strette attorno alla sua gola, solo che Simone non le vede, non le sente sotto i palmi quando prova a scostarle via, e queste ne approfittano e stringono sempre più e non lo lasciano respirare.

Non chiede molto, una boccata d'aria, un po' d'aria fresca, ti prego ti prego lasciami respirare-

C'è così tanto rumore, così tanto che non riesce a distinguere i suoni, sta piovendo ma lui era in classe e ormai nelle orecchie sopra ogni voce c'è l'affanno del suo stesso respiro, il palpitare efferato del suo cuore al galoppo, ti prego, ti prego, non un infarto, non in classe, non davanti a tutti, non davanti a Manuel, che penserà di me Manuel, Manuel, Manuel-

L'aula è piombata nel caos al crollo di Simone sul pavimento.

In massa, le sedie svuotate e le voci, le mani preoccupate rivolte verso Simone, inconsapevoli del danno che quell'accozzaglia di gesti e rumori avrebbe potuto provocare.

In ginocchio, Manuel è stato il primo a raggiungerlo sul pavimento, ed è con rabbia che distoglie da lui l'attenzione per i pochi secondi che servono a fulminare con gli occhi chiunque nei pressi, sibilando, forzatamente calmo, che "lo state a fa' senti' peggio, levatevi, c'ha bisogno d'aria".

Il respiro di Simone è talmente rapido che Manuel teme gli sverrà davanti nel giro di poco, pochissimo, e continua a forzare una calma che non gli appartiene mentre stringe tra le sue quelle mani tremanti, "Simone, Simone, mi senti Simo'? Sono Manuel. Senti la voce mia, stammi a senti'. Che succede?"

"Manu- non c'è aria Manu, non c'è aria- ho- le pillole, stamattina non- Manu non respiro, l'aria non entra Manu-" e la voce è rotta da continui singhiozzi, le guance coperte di lacrime.

"C'è aria, Simone c'è troppa aria. Devi respirare più piano. Ti aiuto io, va bene? Respira con me, segui le mani mie, con calma".

"Non ce la faccio, Manuel non ce la faccio- non- aiutami, Manu-"

"Sto qua. Simone sto qua. Ce la fai, c'hai tutto il tempo, tutto il tempo che ti serve. Ce la fai, segui le mie mani, piano piano, col tempo tuo- così, bravissimo. Bravo Simo', così".

E l'affanno piano piano scema, restano i singhiozzi, le lacrime, gli occhi ancora disorientati e distanti di Simone, la stanchezza che a forza gli abbassa le palpebre.

Sta ancora tremando, lieve e costante.

Manuel sfila via la felpa e gliel'appoggia sulle spalle, s'affretta poi a stringergli nuovamente le mani.

"Mi senti Simo'?"

"Mh"

"Adesso- adesso ti tiro sú. Ti prendo in braccio, va bene? Non ti spaventare. Ti porto a casa".

Sarebbe quasi romantico- quasi da film, da romanzo, portare Simone in braccio fuori dalla scuola, la sua felpa a coprirgli le spalle, le sue braccia attorno al collo.

Eppure Manuel è fin troppo preoccupato, Simone ancora trema e a scuola ci sono andati con la moto, e non è proprio il caso di riportarlo a casa con quella.

Chiama un taxi alla fine, che non ha molte alternative e non ha voglia di causare un attacco di panico pure a Dante, che tanto sta a Napoli e niente può fare.

Simone s'addormenta in macchina, col naso schiacciato contro il suo collo e le braccia di Manuel a tenerlo saldo mentre insieme contano, a voce bassa, tutte le biciclette che vedono.

Ci sono un sacco di biciclette a Roma.

Manuel si detesta, ma a fine corsa deve per forza di cose svegliarlo, che proprio non ce la fa ad uscire dall'auto e il tassista continua a guardarlo male dallo specchietto retrovisore.

Simone sbatte più volte le palpebre prima di tornare presente a sé stesso il tanto che basta a riconoscerlo. Gli sorride, l'abbraccia un poco più stretto.

Rientrano in casa che ha appena iniziato a piovere. Simone l'abbraccia di nuovo, delicato come soltanto lui sa essere. "Grazie".

Manuel vorrebbe riempirlo di baci, ma si limita a lasciarne uno soltanto, preciso preciso tra i riccioletti che gli cascano sulla fronte.


Headcanons (1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora