Eighteenth

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«Dove mi stai portando, Jason?»

Dopo un paio di minuti di silenzio le parole vengono fuori dalle mie labbra piene di rabbia.

Pensavo volesse fare il duro con me da quando mi ha letteralmente obbligata a uscire dalla villa, e invece abbiamo passato il tempo a parlare di Mark.

Non mi dispiace essermi allontanata da quella casa, e non solo per quello che ho fatto a Sharon, ma per tutti i brutti ricordi che ho in quella villa, partendo dal giorno in cui ho beccato Sharon nella stanza del mio allora fidanzato.

Odio quel posto ma iniziavo ad abituarmi all'indifferenza Bartol e alla stronzaggine del marito di mia sorella, per non parlare della gentilezza della madre di Jason.

Quella donna non ha smesso di confortarmi da quando sono entrata in quella casa, anzi, è stata lei ad aprirmi la porta di casa.

Riconosco bene il vecchio quartiere di Miami dove ho acquistato il mio piccolo appartamento, ma quello che voglio sapere da lui è cosa ci stiamo facendo qui? E perché voleva cacciarmi dalla sua maledetta casa.

L'unica spiegazione che mi do è che Sharon gli abbia fatto il lavaggio del cervello per allontanarmi da lui e dai suoi genitori e riportarmi dalla parte opposta di Miami.

«A casa tua.»

Mordo con forza l'interno della guancia quando mi accorgo che continua a prendersi gioco di me, come se non fosse evidente che ci stiamo dirigendo verso il vecchio palazzo a me familiare.

Sospiro pesantemente quando ferma la macchina davanti al cancello arrugginito che segna l'ingresso all'edificio, guardando fuori dalla finestra mentre mi torturo mentalmente.

Non avrei mai pensato di sentirmi così frustrata di rientrare nella mia amata casa. Infondo era questo che volevo, ogni giorno che passavo in quella casa contavo alla rovescia per convincere me stessa che mancava poco prima di tornare a casa mia.

Eppure una voglia matta di tirare uno schiaffo a Jason in questo momento si fa spazio nella mia testa, al solo pensiero che è disposto ad allontanare sua figlia pur di accontentare la sua ragazza.

«Mi lasci vivere sola nel mio appartamento ora?» - non riesco a fare a meno di sbottare con un tono più freddo di prima, ma senza attendere una risposta da parte sua mi affretto ad aprire la portiera, uscendo dalla macchina prima ancora che spenga il motore.

«Non sola.»

Non faccio in tempo a sbattere la portiera con forza che la sua voce rauca entra nella mia testa, costringendomi a voltarmi di nuovo verso di lui, questa volta con una smorfia più confusa che infuriata, con l'intenzione di guardarlo dritto negli occhi.

Voglio incenerirlo con lo sguardo per fargli capire che non mi piace quando parla in monosillabi, ma invece di guardarmi esce dalla macchina e mi volta le spalle, con la stessa espressione serena che ha da quando siamo entrati in macchina.

Serro la mascella e stringo mia figlia al petto prima di sbattere con forza la portiera, ma la mia smorfia incavolata  lascia il posto a un'espressione confusa quando lo sento riprendere a parlare da lontano.

«Ti starò attaccata al culo tutti i giorni.»

Il cuore mi sale in gola quando le sue parole nella mia testa assumono un senso compiuto, al che spalanco le labbra e rimango coi piedi fissi per terra, guardando le sue spalle larghe muoversi contro la giacca di pelle mentre si avvicina al portone del mio appartamento.

«Letteralmente.» - aggiunge dopo un paio di secondi, ridacchiando subito dopo, mentre gira i tacchi e poggia la spalla all'ingresso del mio appartamento, questa volta guardando nella mia direzione e alzando un angolo della bocca quando nota che sono rimasta come un ebete affianco alla sua macchina.

EX 4 || || Ema OQU Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora