Il teatro d'acqua

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Guardo fuori dalla finestra come da piccolo solevo vedere in certi giorni la pioggia, cadere. Ora, non solo perché sia nostalgico, ma perché in vero nella terra fradicia e nelle piccole gocce che s'arrampicano l'erba rivedo quei giorni, lontani, in cui pioveva così.
E l'umidità, le nuvole, gli alberi scossi. Quei rami soli nell'intemperia d'acqua che il vento trascina e sparge. E i vetri ricoperti di lacrime spesse, alimentate dall'incessante scroscio che riempie l'aria fin sopra il tetto. Tutto era essenziale all'atmosfera e tutti avevamo una parte, come un teatro sotto al sipario. Ed io immaginavo di essere perso tra loro, mentre mia madre cucina e stira, vicino.
Poi all'improvviso, si presenta l'inatteso protagonista dell'opera.
Si squarcia il cielo in un femto di terrore, che segna della tragedia il momento migliore.
S'accendono le luci ancora per poco, mentre attendiamo l'inevitabile voce del tuono.
E arriva con inconsueta fermezza, e severa, c'avverte di non uscire, per quella sera.
L'opera va avanti di storie e emozioni finché, rapito, non cado nel sonno dal giorno, sopito.
Ma la parte migliore, era sempre aspettare. Prima o poi la pioggia avrebbe cessato di cadere, mi dicevo, e distoglievo lo sguardo dai giochi per vedere fuori, se in effetti avesse smesso. Non sai quando, ma infine il sipario si apre e tutto torna vivo: sento gli uccellini correre e gli alberi respirare.
E in quel momento aver aspettato tanto dona ancora più gioia al giocare nella terra molle e l'erba fredda. Che ti accorgi che non eri il solo ad aspettare.

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