𝐒𝐞𝐝𝐢𝐜𝐢.

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La mattina dopo quella calda notte era irreale. Tania non capiva ancora se avesse sognato o se tutto fosse successo veramente. Si alzò dal letto sul quale si era distesa per due ore senza effettivamente dormire e si fissò la sua coscia destra, piena di lividi freschi. Quindi era vero? Guardò fuori dalla finestrella dove il cielo era lievemente coperto di nuvole e la sua sensazione di estraneità dal mondo si fece più pressante. La mente per un attimo si smaterializzò dal corpo e si trovò a vagare nel nulla. Semplicemente non voleva stare nella realtà.

Quel momento di derealizzazione si fece più intenso, tantoché non riconobbe più il suo corpo, si disse che quei lividi non le appartenevano, come nemmeno la coscia le apparteneva più.

La testa girava: si sentiva contemporaneamente sia vuota, sia così colma da non riuscire ad alzarsi in piedi per quanto si sentisse schiacciata dal peso delle colpe.

Cosa aveva fatto?

Aveva perso la verginità. Con una guardia. Con una guardia cinica e manipolatrice. Con un uomo che non era il suo fidanzato.

Lentamente stava realizzando che molto probabilmente quell'uomo l'aveva usata. Era solo una guardia costretta a fare lunghi turni di lavoro, durante i quali non vedeva mai donne carine, e quando tornava a casa era troppo stanco per tenersi accanto una moglie. O anche solo una prostituta.

Questo credeva Tania di Maxim. Riteneva che lui avrebbe rinnegato il loro momento di feroce passione per proteggere il suo lavoro. O perché semplicemente, lei era stata un oggetto.

Bezdusha era così, una prigione con implicite regole e leggi assurde. Bisognava sopravvivere con quello che si trovava. E Maxim aveva trovato una donna fragile e ben disposta ad andare a letto con lui. Che stupida!

Tania vedeva il suo corpo sempre più lontano. La vista si appannava. Le nuvole nel cielo si facevano più dense.

No, non era solo stupidità. Era stato con gesto al limite dell'assurdo. L'evento aveva superato in paura addirittura il giorno del ritrovamento del cadavere. In quel contesto Tania sapeva di essere innocente, ma in questo caso era colpevole. Non si sarebbe potuta difendere da Maxin, né, e soprattutto, da Viktor. Non gli avrebbe mai saputo spiegare perché era avvenuto quell'incontro clandestino. Non gli avrebbe saputo spiegare le intense emozioni che ancora la tormentavano.

Maxim era stato un amante infallibile e nasconderlo non sarebbe stato un gioco tanto semplice.

Sentiva che l'arrogante guardia aveva il coltello dalla parte del manico e avrebbe potuto infilarlo nella piaga e rigirarlo a suo piacimento. Quando e come avrebbe voluto.

Eppure ciò che la terrorizzava di più era la presunta falsità di Maxim, più che il fatto che avesse tradito il proprio fidanzato.

Tradimento...

La testa vorticò più velocemente e dovette distendersi di nuovo.

Respirò più lentamente per calmarsi e funzionò.

Andava tutto bene. No, quella vita non era assolutamente la sua. Lei era ancora con i suoi genitori, che non l'avevano abbandonata al primo cenno di pericolo, era ancora con Viktor a mangiare nei ristoranti più chic della città, che non era scappato a gambe levate non appena Maxim lo ebbe fissato con sguardo rigido. Nel tentativo che la sua mente stava facendo per farla estraniare dalla verità, tutti erano di nuovo amabilmente uniti e felici.

Eppure la cosa che l'avrebbe potuta rasserenare di più era sapere che quella notte non sarebbe stata l'unica. Aveva bisogno di aggrapparsi alle immagini della sera precedente, alla visione di quel corpo nudo, potente e voglioso e credere che tutto quello sarebbe potuto diventare suo. Avrebbe potuto ricostruirsi un'identità da quell'evento. Era sicuramente più fattibile che ritornare dai suoi genitori e da Viktor. Spiegare tutto questo a loro sarebbe stata la vera incarcerazione.

Sentì che la sua testa stava pulsando e, mentre si massaggiava le tempie, si accorse che il suo avvocato era in piedi davanti alle sbarre.

"Signorina Sobakin" Esordì. "Mi hanno annunciato che finalmente è stata convocata per l'udienza definitiva. Ho bisogno di spiegarle cosa siamo riusciti a trovare per la sua difesa e come lei si dovrà comportare in merito in seduta d'esame."

L'avvocato cominciò ad elencare una sfilza di numeri, date, precisazioni, nomi, leggi a cui Tania non riuscì a porre la dovuta attenzione. Una parte di lei sapeva che tutto ciò sarebbe stato futile. Il suo avvocato non aveva fatto niente di concreto per scarcerarla e lei sarebbe restata lì per sempre.

Quando lo smilzo mise fine alla raffica di parole, se ne andò salutando con un lieve "Alla prossima." neanche fosse stato un amico di vecchia data.

Tania era distrutta. Si sentiva in colpa per non aver ascoltato mezza parola, ma sentiva che era tutto inutile.

Si gettò sul letto. L'emicrania stava prendendo posto e sentiva una fastidiosa pressione sulla tempia sinistra. Doveva dormire, ecco cosa avrebbe dovuto fare. Non appena socchiuse gli occhi, però, pianse. Era un pianto di resa, più che di dolore.

"Vedo che ti manca il tuo bel soldatino, non è vero?"

Una voce arrivò dalla cella opposta alla sua. Era una vecchia strabica che stava di fronte a lei.

Tania si alzò e la guardò, facendole intuire che non aveva capito.

"Certo, la tua fedele guardia. Vi ho sentiti la notte. Tu urlavi come una dannata. Mi sembra uno che ci sa fare, giusto?"

Quell'interesse morboso fece rabbrividire la ragazza che negò tutto.

Lei ridacchiò.

"Troppo stolta sei." La voce si fece più sarcastica. "Le voci girano velocemente dentro un carcere, soprattutto le urla."

L'umiliazione prese posto dentro Tania, che taceva.

"Sei troppo ingenua. Una guardia... cosa credi, amorino, che lui non sia andato con altre donne? Sapessi cos'ho visto l'altro giorno, le donne cadono ai suoi piedi. E lui non è di certo un santo!"

𝐏𝐫𝐢𝐬𝐨𝐧 𝐨𝐟 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora