𝐐𝐮𝐚𝐭𝐭𝐫𝐨.🔞

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Non c'era molto da fare in prigione. Le uniche attività che Tania poteva svolgere durante le sue desolate giornate erano mangiare, dormire, pensare e piangere. Sentirsi rinnegata dalla sua stessa famiglia l'aveva ferita nel profondo, tanto che saltava molto spesso le cene perché lo stomaco non ne voleva sapere di introdurre del cibo al suo interno. Anche lui lo rinnegava.

Avrebbe voluto anche solo possedere della carta e una penna per disegnare. Amava disegnare, fin da quando era bambina dipingeva quadri ritraendo le persone o i paesaggi più suggestivi della steppa russa, però non solo non le era permesso possedere il materiale nella prigione, in quanto avrebbe potuto scrivere delle lettere non autorizzate a qualcuno, ma il tavolo della stanza, senza una gamba, non reggeva nemmeno il peso dei suoi gomiti quando vi si appoggiava sopra. Ci aveva provato e, dopo aver scricchiolato supplicandole di togliersi, si era incrinato ancora di più. Non sapeva proprio come esprimere il suo dolore, non poteva mettersi ad urlare come la donna che stava a quattro celle più a destra. Era imprigionata da 10 anni, Tania non sapeva perché, e da 4 era impazzita. Si sentivano troppo bene le sue urla di dolore, la testa che sbatteva contro le sbarre, finché non si stufava di questo suo unico hobby e nel silenzio più sordo si accasciava a terra per dormire, esausta e con le corde vocali in fiamme. Tania si chiedeva se le sarebbe convenuto impazzire anche lei. Se fosse stata pazza, sarebbe almeno riuscita ad eludere il mondo circostante. Le venne in mente il suo autore italiano preferito, Pirandello, che aveva studiato a scuola durante le ore di letteratura straniera. Lo scrittore sosteneva che era meglio essere pazzi che vivere nella consapevolezza del dolore. Forse era la soluzione giusta anche per lei.
C'era un'unica altra attività che le restava oltre a quelle elencate fino ad adesso: l'ora d'aria.

Il cortile in cui i detenuti venivano radunati per consentir loro di respirare un minimo di aria fresca che permetteva la loro sopravvivenza era un terreno arido, sabbioso, tappezzato qua e là da pianticelle invasive che impedivano ad altre piante di crescere accanto. Era circondato da muraglie di cemento armato percorso da filo spinato in ogni suo angolo. Non fosse stato mai che qualcuno avesse avuto l'ardore di sbilanciarsi a vedere anche il resto del mondo.
Tutti i prigionieri erano impegnati a prendere il sole, per la vitamina D, per cercare di mantenere le ossa resistenti. Le manganellate sulle tibie da parte delle guardie non aiutavano di certo nell'intento.

La particolarità interessante dell'ora di aria era la suddivisione automatica in gruppi dei carcerai, secondo il loro tipo di crimine o in base al loro livello di cattiveria, come se fosse stato scontato che ognuno si ritrovasse in un clan per difendersi dagli altri, convinti che tramassero l'uno contro l'altro. Tania non si era ovviamente identificata in nessun gruppo. Non voleva entrare in nessun gruppo e nessun gruppo aveva reclamato la sua inutile presenza. Si limitava a stare nell'angolo tra i muraglioni, a respirare e riscaldarsi. Di lì a poco, però, avrebbe subito le colpe di non essere inserita in un gruppo e di essersi messa proprio in angolo, sola e fragile.

Una donna corpulenta, seguita da altre donne dai visi rovinati da cicatrici e corpi altrettanto muscolosi, si avvicinò con determinazione a Tania, seduta sul terriccio arido con le spalle al muro. Le si piazzò davanti, in modo che la sua ombra enorme oscurasse il timido sole russo. Osservò con sdegno la ragazzina ed esordì, dicendole grave:

"Dammi tutti i tuoi soldi, piccola puttanella."

Tania la guardò stranita. Non possedeva soldi.

"Sono senza soldi, me li hanno ritirati appena sono arrivata." Disse, rivelandole la verità.

"Mi stai mentendo, troia. Li stai sicuramente nascondendo." Ringhiò quella di rimando, sputando qualche goccia di saliva dall'angolo della bocca, che venne sparata dritta in faccia a Tania che si pulì con il dorso della mano.

Il cerchio delle donne cominciava a stringersi troppo attorno a lei, chiudendola tra le due mura e le criminali.

"No, non ho soldi, non saprei dove tener..." Balbettò, incerta, ma venne immediatamente interrotta.

La mano callosa della donna la strinse per il collo e la sollevò come se fosse una gallina a cui si sarebbe dovuto tirare il collo.

"Se stai nell'angolo da sola è sicuro che nascondi qualcosa." La fissò torva, avvicinandosi al suo volto, convinta che se l'avesse scrutata profondamente nelle nere pupille avrebbe svelato il suo segreto. Tania fece di tutto per non guardarla direttamente negli occhi, cercando di girare le sguardo verso altri oggetti al di fuori del campo visivo della donna. Non voleva far sembrare che la stesse sfidando. Voleva solo che la ignorasse nuovamente e la lasciasse da sola nel suo sudicio angolo di giardino.

La carcerata, ficcando le sue mani nelle tasche di Tania, prese a frugare voracemente nella sua divisa. Tania, con il collo ancora stretto nella morsa potente, non riusciva più a respirare. Annaspò e cercò di respirare più profondamente, per fare entrare più aria che potesse nei suoi piccoli polmoni.

Quando la massiccia donna si accorse che non c'era nulla all'interno del vestiario si infuriò.

"Scommetto che li tieni nelle mutande, lurida bastarda." Disse sibilando tra i denti mentre il suo volto assumeva una colorazione rossa per la rabbia.

Tania sentì che una mano le tastò l'interno coscia e con uno strappo la rivale lacerò parte dei pantaloni. La sensazione delle dita ruvide sulle sue mutande la fece rabbrividire e sentire umiliata fino a piangere dalla disperazione. La donna ficcò l'indice e il medio all'interno del cavo vaginale, senza curarsi del dolore che infieriva alla piccola Tania.

Tania, per estraniarsi dalla realtà, cercò di ricordare come la toccava Viktor, con il suo desiderio, che voleva fare l'amore con lei, ma lei l'aveva sempre bloccato sul nascere perché non si era mai sentita pronta per quel grande passo. Lui, quindi, sfogava il suo bisogno massaggiandole il monte di Venere, fino a giungere al clitoride. Lo sfiorava, a volte con troppa pressione, e poi, quando capiva che la sua ragazza era bagnata a sufficienza, infilava un dito dentro di lei, calmo, come se giocasse con lei.

Ora, però, i giochi d'amore erano finiti e Tania si trovava a farsi fare un'ispezione non richiesta da una donna dai modi barbari. Voleva che smettesse di violarla, di violare ciò che sarebbe dovuto appartenere a Viktor. Il pensiero che qualcuno che non fosse stato Viktor l'aveva toccato a un livello così intimo le spezzò il cuore in mille pezzo dalla vergogna.
La delinquente, appena realizzato che all'interno non vi era nascosto niente, in un gesto di pura foga e pazzia, alzò il pugno per colpirla in faccia. Tania si coprì il volto rigato dalle lacrime con le braccia, tremando per la paura. Stava aspettando la sua fine.

Il pugno, però, non arrivò. Aprì gli occhi, terrorizzata, e vide che il cerchio delle donne si era aperto e la donna stava venendo picchiata da un duro manganello di una guardia.

"Maxim, ti prego, no! La lascerò in pace, prometto, lo giuro! Non uccidermi." Improvvisamente, la donna stava mugolando, implorando perdono. La scena si era completamente ribaltata.

"Hai rotto il cazzo, 0511, non fai altro che darmi dei cazzo di problemi. Se potessi ucciderti, lo farei senza rimpianti."

La guardia le tirò l'ultima manganellata e guardò furente tutte le altre detenute del gruppo. Quelle rabbrividirono e se ne andarono lentamente, lasciando la loro compagna tremante e sanguinante a terra.

Tania, con gli occhi lucidi dal pianto, fissò la guardia. Era un uomo, o meglio, un ragazzo. Non era tanto alto né basso, ma ciò che non possedeva in altezza, lo riprendeva in larghezza: nonostante la divisa, si notavano i suoi muscoli che premevano contro di essa. I capelli neri pece adornavano un volto magro, con una mascella definita dai contorni rigorosamente delineati.
La guardia puntò i suoi occhi torvi su Tania. Erano scuri e impenetrabili, severi e freddi. Tania si sentì piccola e spaventata, ma al contempo si fece forza pensando che lui le aveva appena salvato la vita.
Lui si avvicinò, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Si accucciò fino a che non si trovarono in linea retta. Si fissarono direttamente nelle pupille.

"Ora levati dal cazzo anche tu. Non darmi altri problemi."

Le sorrise sfacciatamente, alzando un angolo della bocca, si alzò e diede un calcio alla detenuta 0511, urlandole di alzarsi.
L'aveva chiamato Maxim.

𝐏𝐫𝐢𝐬𝐨𝐧 𝐨𝐟 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora