Capitolo 26.

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"Niente rende una donna più bella della convinzione di essere bella."

•Specchio, specchio delle mie brame...

Quella mattina c'era il sole, un sole che Michaela non aveva mai visto, forse perché non si era mai soffermata davvero a guardarlo; i suoi raggi lunghissimi, il giallo a tratti trasparente e il calore che emanava con la sua forza. Lo sentiva sulla pelle nonostante le finestre fossero chiuse e solo uno spiraglio le illuminava il corpo nudo. Forse... No, sicuramente, nemmeno quello si era mai soffermata a guardare. Sì, aveva più volte lasciato che il proprio sguardo scorresse sulle smagliature che la tagliavano in alcuni punti ma mai si era fermata a guardare quanto esse fossero più chiare dei raggi di quello stesso sole che brillava alto nel cielo. Forse per timore, forse per le convinzioni sbagliate che da sempre le avevano attanagliato la mente con sicurezze scomode o forse - Miky lo aveva finalmente capito - perché lei era da sempre stata il vero nemico di se stessa.

Storse il naso, fece un bel respiro e puntò i propri occhi in quello specchio che rifletteva la propria immagine, antagonista di una favola giunta al capolinea, una diversa da quelle che tutti sono abituati a leggere, dove non sempre il principe è l'eroe, una in cui la principessa è diventata forte abbastanza da amarsi da sola. E forse lei la preferiva su tutte. Sul suo volto nacque un sorriso sincero nel vedere il seno prosperoso ricadere con armonia, la pancia rotonda non le procurò né  fastidio né disgusto, al contrario la guardò con un rispetto che non aveva mai usato e con una punta di vanità persino, la stessa che si ritrovò nelle iridi chiare nell'osservare minuziosamente le gambe piene e forti. Che cosa c'era stato di sbagliato in lei che non riusciva più a vedere? Probabilmente niente perché per la prima volta nella sua vita, Michaela, si sentì bella guardandosi allo specchio. Magari avrebbe continuato a non esserlo per le stupide convenzioni sociali, ma per se stessa lo era appena diventata. Lo era sempre stata.

Rimase a guardarsi per minuti che parvero ore, nonostante le lancette dell'orologio si erano mosse solo di qualche minuto. Poi, con i denti a mordersi le labbra già fin troppo torturate, si decise a indossare quel maglione un po' più scollato che le aveva sempre regalato insicurezza e quella gonna che le aveva sempre fatto paura; decisamente corta per lei che di gambe ne aveva troppe. Tuttavia, si ritrovò a darsi della stupida subito dopo, perché dovette ammettere che quel maglione le regalava femminilità e quella gonna tanto temuta le concesse una sicurezza che non aveva mai avvertito prima. Diversa. Miky si sentì così diversa che sorrise raggiante e persino quel gesto la costrinse a guardarsi nello specchio, notandosi come non aveva mai fatto, tanto che decise persino di donare al proprio volto un pizzico di trucco e felicità, quella che finalmente sentiva scorrerle dentro e farle battere il cuore grande, per troppo tempo chiuso in una gabbia. 

«Pasticcino!» la voce di Jane interruppe il silenzio e subito dopo un ticchettio alla porta, la sua testa spuntò con un sorriso dolce insieme a essa. «Cole e Erik sono arrivati, aspettiamo tutti te per la cola-... » si bloccò nell'esatto momento in cui  suoi occhi si posarono sulla figura della ragazza. Jane li spalancò per qualche istante prima di stringerli in un'espressione a tratti emozionata. «Oh Miky, tesoro... Sei splendida.» aggiunse poi, avvicinandosi a lei e stringendola immediatamente in un abbraccio.

«Non starai piangendo perché la gonna è ormai fuori moda, spero. » ridacchiò, accogliendola tra le braccia e lasciandosi cullare dal suono della risata cristallina di Jane. Le era mancato tutto quello, la loro quotidianità. Nell'ultimo periodo aveva faticato tanto per riprendere in mano la sua vita, i suoi sorrisi e quella spensieratezza che aveva messo all'angolo, troppo occupata a trovarsi difetti che avrebbero persuaso chiunque a lasciarla andare.

«Per chi mi hai preso, biscottino? Questa gonna nemmeno la considero "moda".» si affrettò a specificare, sciogliendo quell'intreccio e asciugandosi gli occhi bagnati appena. La guardò con un cipiglio severo che non riuscì a mantenere per troppo, esso sparì per lasciare spazio a tutto l'amore che sentiva scaldare il petto mentre le sistemava il filo di matita ai lati degli occhi. «Ma ti sta divinamente.» le concesse, senza smettere un attimo di accarezzarle le punte dei capelli mossi.

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