Capitolo 2.

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"La vita é ciò che ti accade quando sei occupato a fare altri piani."

•Il paese delle meraviglie

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•Il paese delle meraviglie.

Lo specchio le stava dando un riflesso che non le piaceva granché e cambiare più volte il maglione non era bastato a farla ricredere, aveva ingenuamente provato a dare la colpa anche ai jeans che sembravano ingrossarle il sedere ancora di più, ma nessuna scusa era stata abbastanza convincente da distrarla quanto bastava dai rotoli che fuoriuscivano dal bordo dei pantaloni. Il volto umido dai capelli ancora bagnati apparì sconsolato e deluso, come ogni volta che provava a rendersi quantomeno decente, abbastanza presentabile. Ci aveva messo se stessa fin troppe volte, aveva indossato delle gonne ogni qual volta Jane l'aveva costretta ad andare a ballare con lei, ma si era ritrovata investita da infiniti sguardi che l'avevano fatta sentire un detenuto diretto al patibolo; troppi giudizi, troppe convinzioni sbagliate che l'avevano portata a credere di doversi accontentare dei leggins scuri e i maglioni lunghi.

Perché non poteva ritenersi libera di indossare quel che le pareva? Per quale motivo doveva ostinatamente tenere nascoste le proprie gambe a occhio nudo? Solo perché non erano abbastanza magre e prive di cellulite? Miky non ne aveva idea ma non aveva neanche mai sopportato i troppi sguardi su di sé, e alla fine si era rassegnata ad una realtà scomoda da sopportare ma che le permetteva di vivere una vita normale, senza alcuna occhiata di troppo. Tuttavia, guardarsi allo specchio senza lanciare sguardi delusi alla sua figura, risultava un'impresa troppo difficile persino per lei, che nonostante tutto non si era mai persa d'animo ed accettava senza fiatare quei "peccato, hai un bel viso" detti da chi si limitava alla superficialità di un corpo snello e non si soffermava all'incredibile bellezza che riusciva a sfoderare un sorriso, uno di quelli tremendamente felici e appagati, che fa sognare ad occhi aperti. E lei cercò di stamparne uno in volto con tutta la convinzione che aveva in corpo, ma il risultato che venne fuori fu solo una sorta di psicopatica seriale che aveva mangiato troppi dolci.

«Mio Dio, sembri una pazza a cui hanno rubato la torta al cioccolato!» la voce squillante della piccola ma spigliata Cristine si fece sentire forte e chiara. E, per l'appunto, aveva confermato i suoi ultimi pensieri.

«Mi manca solo questa nell'elenco delle disgrazie che mi sono capitate!» alzò gli occhi chiari al cielo e brontolò qualcosa che la sorella non riuscì ad afferrare. «Non so che cosa indossare per fare bella figura a questo fantomatico colloquio.» la sua voce risultò piagnucolante e tremendamente disperata, come ogni volta che si trovava di fronte al guardaroba.

«E ci hai provato con quei pantaloni? Proprio non ci siamo, zuccherino!» anche la figura di Jane comparì sulla soglia della sua stanza senza che lei se ne fosse neanche accorta, ma era troppo tardi per fuggire dal suo sguardo calcolatore. «È un buco quello che hai dietro la gamba?» alzò un sopracciglio come un perfetto critico di moda, mostrandosi altamente scioccata dal suo abbigliamento.

«Mi scusi, signora Versace! Secondo il suo umile parere che cosa dovrei indossare?» si lasciò cadere sul bordo del letto con la sua solita aria sconsolata, le braccia incrociate al seno e il piede che batteva sempre più nervosamente sul pavimento.

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