Capitolo 11.

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"Ho passato tanti anni in una gabbia d'oro. Sì, forse bellissimo, ma sempre in gabbia ero."

•Dolcissima illusione

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•Dolcissima illusione.

Nonostante la città era già da un poʼ avvolta dalla meravigliosa luce del mattino, le tende dell'appartamento di Liam Dalthon erano state lasciate ostinatamente chiuse per evitare qualsiasi contatto con il nuovo giorno giunto. Il diretto interessato se ne stava comodamente seduto sul suo divano in pelle, provvisto di vestaglia in raso borgogna e un bicchiere di whisky tra le mani, come se non fossero solo le nove del mattino e che tutte le persone normali, a quell'ora, consumassero del buonissimo e semplicissimo latte. In fondo non si era mai reputato chissà quanto normale, non aveva mai fatto tanto caso al giudizio delle altre persone, era sempre stato troppo occupato a costruire il suo impero d'oro dalle fattezze irreali, uno di quelli inarrivabili e che faceva invidia al resto del mondo. Lui ci era riuscito, era diventato uno degli uomini più potenti, capace di incutere il giusto timore a chiunque aveva tentato di andargli contro.

Ma che cosa aveva ottenuto veramente? A quel pensiero le sue labbra si alzarono appena sulla sinistra, in una smorfia che derideva se stesso. La verità era che riusciva a prendere in giro l'intero mondo, ma se si trattava di fare i conti con le proprie emozioni, i propri pensieri e le paure più recondite, il grande Liam preferiva scappare e lasciarsi tutte quelle debolezze alle spalle. Negli anni aveva sempre cercato di colmare il vuoto che sentiva al petto, senza alcun risultato, certo... Senza un segno che lo facesse sentire soddisfatto e finalmente fiero. Aveva imparato a recitare così bene la parte dell'albergatore solitario che alla fine ci era diventato senza riuscire a fare qualcosa per fermarsi.

E poi era arrivata Michaela, un minuscolo spiraglio di luce in quel buio totale. Una speranza per la sua anima precipitata all'inferno, un angelo sceso in terra per salvarlo dalle sue pene. Che cosa stavano a significare i suoi occhi azzurri come il mare? Essi erano capaci di smuovergli emozioni che aveva creduto di aver seppellito e proprio non riusciva a spiegarsi il motivo. Aveva una capacità di sorridere in modo così genuino da costringerlo a imitarla, le sue guance diventavano così rosse a ogni pasticcio combinato che lo obbligavano a metterla sempre più in difficoltà. E poi di nuovo il suo sguardo... Non l'avrebbe mai dimenticato, non ne aveva mai visto uno come il suo; gentile, leale, coraggioso. L'unico a farlo sentire una persona migliore e forse era proprio quello ad attirarlo: la possibilità di essere chi in realtà non sarebbe mai stato. Il buono.

Un'illusione perfetta che fu capace di distrarlo per qualche abbondante minuto. Sul suo volto riuscì persino a farsi spazio un sorriso nel pensare a quella cuoca maldestra dalla parlantina facile, ed era tutto così inaspettato, così irreale che nemmeno ci credeva alla sensazione del proprio stomaco sottosopra in sua assenza; sempre troppo orgoglioso per ammettere che davanti alla ragazza gli batteva il cuore un poʼ di più, ma abbastanza coraggioso e deciso da assicurarle il suo più fervido e sincero interesse. Per qualche sconosciuto motivo, gli era palese quanto Michaela Monroe era insicura e incapace di credere in chiunque, ignara di quanto potesse risultare bella agli occhi di qualsiasi uomo sano di mente. Fu proprio mentre si stava chiedendo quale fosse stato il motivo a portarla in quella scatola di inconsapevolezza, che udì il suono del suo ascensore spezzare il silenzio. Oh, solo una persona possedeva il codice per irrompere letteralmente nel suo appartamento e quella consapevolezza lo costrinse ad alzare gli occhi al cielo nell'esatto momento in cui...

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