12 - Nicole: Tra giustizia e bontà.

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Nicole.

Tra giustizia e bontà.

"Your secrets keep you sick,
your lies keep you alive"
- Falling in Reverse.
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Fare la scelta giusta non è mai una cosa semplice.

Quando ci si guarda allo specchio può capitare di non riconoscere perfettamente il proprio riflesso; io, da due anni a questa parte, lo vedo più torbido del normale.

Mi rimiro vestita di nero il novantanove percento delle volte, con la faccia da funerale dalle sette di ogni mattina e con una strana ossessione per tutto quello che possa darmi un minimo di calma o trasmettermi un po' di dolcezza. 

È per questo che quando sono in difficoltà non faccio altro che toccarmi gli anelli che porto alle dita: tutti animaletti fatti d'acciaio, ognuno col proprio nome e la propria peculiarità.

In questo momento so per certo che se Lizzie mi darebbe una pacca sulla spalla, Froggy, invece, mi assesterebbe uno schiaffo bello e buono.
Perché se da un lato credo di aver agito in piena regola con la mia moralità, dall'altro so per certo di aver messo qualcuno in difficoltà. Me compresa.

Ma giustizia e bontà non sempre vanno di pari passo: questo, ho dovuto impararlo a mie spese.

Appallottolo tra le mani l'ennesimo foglio, insoddisfatta e con una sola domanda in testa: ho fatto bene ad iscrivermi in questa accademia?

Il mio quesito trova presto risposta in una testa riccia che mi passa davanti. Una, due volte. Urlando. Starnazzando.
No, Nicole, potevi restartene a casa.

"Dove ho messo il mio orecchino?", strilla Cecilia, la mia compagna di stanza, correndo da una parte all'altra.

I suoi tacchi glitterati blu elettrico ticchettano sul pavimento a più riprese. Ogni passo mi smuove un neurone; ogni gridolino lo fa scoppiare. 

E penso di essere arrivata a possederne ormai gli ultimi due, quando al limite della pazienza scatto in piedi. Le arrivo di fronte, guardandola dall'alto: nonostante i tacchi vertiginosi, sono più alta di lei.

"Ti do due alternative". Alzo una mano, per iniziare la conta. "Uno, rivesti di gommapiuma le tue cazzo di scarpe. Due, te le togli così che possa lanciarle fuori dalla finestra".

Evito di dirle che c'è una terza alternativa, quella in cui gliene sfilo una di forza per piantarle il corrispettivo tacco in fronte.

"Nicole!".

"Eh?".

"Ho perso il mio orecchino!".

La mia attenzione slitta ai suoi lobi, in particolare quello sinistro, attorniato da un enorme cerchio argentato. L'altro, è spoglio.

"Ho perso il mio...".

"Come è possibile, se i tuoi orecchini sono grandi quanto la ruota di un camion?".

"Un camion giocattolo?", domanda, comprimendo una contro l'altra le labbra gonfie e lucide, sbattendo i suoi occhi scuri da cerbiatta. 

Espiro, torturando con l'indice l'anello che porto al pollice sinistro: Miglio, un coniglio a cui ho attribuito l'impazienza. Di solito questo mio gesto ha due possibili risvolti.

Il primo è il più pacifista: inizio a grattare nervosamente con le unghie i denti del piccolo squalo che porto all'anulare destro (non che a Pasqualo questo vada particolarmente a genio).

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