Cap.8: Verso la Germania, con tristezza

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Elvis, da bravo figlio, era tornato a casa da Fort Hood. A Memphis Elvis venne investito da un dolore che, prima della morte della madre, non sapeva nemmeno potesse esistere.

Il successo può farti sembrare un superuomo, ma in quel momento era solo un figlio che piangeva la perdita della madre. Durante quei giorni di agosto del 1958 non era più Elvis Presley, il Re del rock'n'roll: era Elvis Presley, l'essere umano creato dall'unione di Gladys e Vernon ventitré anni prima, vulnerabile alle perdite e al dolore come chiunque altro. Gladys aveva solo quarantasei anni quando morì. Elvis avrebbe dovuto godersi la sua compagnia per più tempo, proprio come il mondo intero avrebbe dovuto avere Elvis più a lungo.

Gladys venne portata a casa per essere sistemata per l'addio finale, una tradizione del Sud dell'epoca. Elvis voleva che i funerali si tenessero a Graceland, ma il Colonnello lo convinse che sarebbe stato meglio rivolgersi all'agenzia funebre per motivi di sicurezza. Per il cantante però era dura lasciar andare il corpo di sua madre.

Si riunirono tutti gli amici e i parenti. Io avevo provato a consolarlo ma era molto difficile perché condividevamo lo stesso identico dolore. I miei genitori per lungo tempo non si erano mai fatti sentire e quando ero partita per Memphis, a quindici anni, non se ne erano preoccupati. Gli avevo lasciato una lettera ma penso che non l'abbiano nemmeno letta. Quindi perdere Gladys era stato devastante. Distruttivo. Come Elvis le toccavo le mani e la fronte.

Il gruppo preferito di sua madre, quello dei Blackwood Brothers, venne invitato a cantare al funerale. Elvis scoppiò a piangere più di una volta. Il sacerdote parlò di Gladys, della sua modestia e della sua semplicità, descrisse la sua devozione al marito e al figlio e la compassione per i poveri e gli indifesi. Disse che la sua vicinanza a Vernon ed Elvis avevano fatto di lei una moglie e una madre di valore. Descrisse la sua forza di carattere e raccontò che la fama non la aveva affatto cambiata.

La sera dopo il funerale ricominciammo a piangere. Lui si sfogava tra le lacrime e io cercavo di essere la sua ancora ma era impossibile. Avevamo perso entrambi una madre e non esiste un dolore più forte di quello.

Tornammo a Fort Hood in Texas dopo 12 giorni di congedo il 24 agosto del 1958. Tutto era cambiato. Se prima eravamo allegri e spensierati in quei momenti eravamo distrutti dal dolore e molto più seri. L'11 settembre gli fu notificato il suo incarico nella Terza divisione corazzata in Germania; una settimana più tardi passammo la nostra ultima notte in Texas. Lui era molto emozionato al contrario mio. Era preoccupato che in quei due anni nella sua patria si sarebbero dimenticati di lui. Quando me lo raccontò gli risi in faccia. Era impossibile una cosa del genere! Era Elvis Presley e ovunque andasse raccoglieva gruppi di fan urlanti. Lo rassicurai dicendogli che era una preoccupazione vana e inutile anche perché aveva me: grazie alle mie foto e il lavoro del Colonnello nel 1960 avrebbe avuto un seguito più elevato.

Quando arrivammo alla stazione di Brooklyn il 22 settembre 1958 fu organizzata una conferenza stampa. Qualcuno chiese a Elvis che fine avrebbe fatto la musica rock. Lui si mostrò molto professionale, rispose allegramente e fece battute. Un giornalista gli domandò cosa avrebbe fatto se il rock'n'roll fosse scomparso mentre era nell'esercito. Elvis rispose ridendo: «Morirei di fame». Gli fu domandato anche quale fosse la sua canzone preferita e lui rispose con due titoli non rock: Padre di  Toni Arden e Never You Walk Alone . Arrivò anche una domanda sulla scomparsa della madre e lui rispose sinceramente. Per quanto mi riguardava mi furono fatte domande in modo particolare su quello che pensavano i miei genitori riguardo la mia professione, il fatto che fossi scappata dall'Olanda a una così giovane età e la relazione con il cantante. A tutto ciò risposi che non ne avevo assolutamente idea. Non sapevo neanche se fossero ancora vivi. Mi importò qualcosa? Proprio no.

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