capitolo 10- first real day

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Continuai il mio tragitto verso scuola, ovviamente da sola. In fondo, non avevo bisogno di nessuno. Più cercassi di convincermi che fosse così, più mi rendevo conto che ero seriamente sola. Il dolore che avevo dentro era diventato insuperabile. Una lacrima scese giù per la mia guancia ma la tolsi subito con il polso. Non dovevo essere fragile.
Non mi feci paranoie, sarebbe stato un normale giorno di scuola a parte il fatto che, dato che ero nuova, tutti mi avrebbero guardato male per il mio aspetto fisico e, probabilmente, mi sarei cacciata il qualche casino.
Così fu. Non solo fui osservata per gran parte delle ore di lezione ma una parola in meno mi avrebbe aiutato a non farmi riconoscere il primo giorno.
Nell'ora di letteratura, materia da sempre amata, il professore era convinto che nei nostri scritti dovevamo rappresentare la realtà, così come è, senza inserire metafore astratte altrimenti questo non sarebbe stato capito dal lettore. Non ero assolutamente d'accordo: prima di tutto, essendo io lo scrittore, posso decidere come scrivere a mio piacimento, sarà un mio problema futuro se la gente comprerà e leggera il mio libro; poi molti poeti e scrittori usarono metafore simboliche ed elementi paesaggistici per descrivere il proprio stato d'animo e questa è una magnificenza assurda dato che non è semplice trasmettere quello che si sente attraverso oggetti quotidiani. Sbottai spiegando al professore e alla classe questi piccoli appunti che ritenevo importanti. Finì male: punizione. Consisteva in rimanere due ore in più dopo la scuola in un aula con altri ragazzi in punizione ripassando o studiando.
Questo andò bene. Feci amicizia con qualche amico che mi riteneva di stile, al contrario dei ragazzi di Melbourne che dicevano che il mio modo di vestirmi era troppo Grunge e depresso.
Mi sentii un po' accettata e questo mi fece ripensare ai momenti passati con Bethany e gli altri. Non mi mancavano e non li avrei chiamati. Sapevo di comportarmi da egoista ma avevo detto loro di voler cambiare vita, e così stavo cercando di fare.
Passai il pomeriggio a studiare da sola in casa, avevo seriamente paura per mio padre... so che non avrebbe dovuto importarmi perché se si stava rovinando andava solo a suo discapito ma non volevo che tornasse in carcere.
Non chiamai nemmeno lui ma, mentre la storia mi opprimeva, una lacrima rigò la mia guancia. Mi vennero in mente brutti ricordi che non voglio raccontare: annoierei e mi farebbero pensare al passato.
Odio e odiavo farlo, ma faceva parte di me.
Quando si fece quasi sera mia sorella tornò dall'università:
"Bay, sono tornata. Ti va di uscire con me? Voglio comprarti una cosa..."
"Va bene, dove andiamo?" sbucai dalla cucina super curiosa.
"È una sorpresa... verrà anche Michael"
Presi un elastico e mi feci al volo una cosa che venì molto incasinata ma poco mi importava...
Presi il cellulare ed uscii seguendo Brooklyn che raggiunse Clifford nel parcheggio sotto casa.
Si salutarono con due baci sulla guancia mentre io mi limitai a un cenno con la mano.
Il viaggio in macchina fu veloce e piacevole anche grazie alle canzoni più in voga in quel periodo in sottofondo.
Ci fermammo davanti ad un negozio abbastanza bello al di fuori. Scesi dalla macchina chiudendo poi lo sportello ed aspettai che Michael e mia sorella si fermassero nello stesso punto in cui ero io. Non so perché ma ero a disagio, non volevo fare brutte figure o dimostrarmi per quella che ero quindi incarnai la perfetta amica/sorella minore e cercai di sorridere più che potevo. Non avrei voluto vedere la mia faccia in quel momento, un misto tra terrore, disagio ed un finto sorriso.
•••••
"Hei, disturbo?" qualcuno bussò alla porta della mia camera.
Stavo ammirando felicemente lo skateboard che Brook aveva deciso di comprarmi in quel negozio circa un'ora prima.
"No, avanti". Era Michael, di nuovo.
"Ciao, come va?"
Accennai un "bene" forzato, ma non gli bastò.
"ti piace lo skate?"
Annuii volendo rimanere sola, chissà per quale motivo ero tutt'a un tratto diventata nervosa e l'unica cosa che volessi era che lui se ne andasse e mi lasciasse in pace.
Forse era l'unica persona che, dopo quattro anni di assoluto menefreghismo, si stesse interessando a me e questo mi metteva paura, o forse era una mia impressione. Tagliai corto.
"Sei venuto qui per dirmi qualcosa in particolare?"
Il mio tono era abbastanza deciso ed accompagnai il periodo con un cenno con il mento verso di lui che si era ormai seduto accanto a me sul letto.
"In realtà sì, volevo dirti che devi provare ad essere più te stessa, non sorridere forzatamente se non te la senti. È solo un consiglio"
"Okay, posso farti una domanda?"
Il nervosismo cresceva dentro di me, non capivo la situazione: chi era lui per darmi consigli su come vivere la mia vita?
Nonostante il mio tono acido e scontroso lui annuì, non gli convenne perché la mia risposta fu altrettanto rabbiosa quanto il mio umore interno.
"Cosa vuoi tu da me? Non sei mio padre, non sei mio fratello, non sei il mio fidanzato, non sei il mio migliore amico... non sei assolutamente nessuno per me. Eppure da due giorni che ci conosciamo non fai altro che assillarmi con le tue prediche su come vivere la mia vita. Ho 17 anni e mia madre è morta quattro anni fa, non ho certo bisogno di qualcuno che mi dica come affrontare la situazione dopo tutto questo tempo, non credi? Basta. Mi sono stufata del tuo atteggiamento, mi sono stufata dell'atteggiamento di tutti. Esci dalla camera, ora!"
"Mi rifiuto di farlo!" restai sconcertata. Cioè mi aveva appena detto che non avrebbe fatto quello che gli avevo ordinato?!
Feci una smorfia che, appunto, fece capire il mio pensiero contrario alla sua affermazione.

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sono un po' in ritardo😁

spero vi piaccia, votate bellissime❤️

Through the dark// Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora