¹⁵. 𝘡𝘰𝘯𝘢 𝘰𝘴𝘤𝘶𝘳𝘢

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Eve non riusciva a smettere di toccarsi la lunga cicatrice frastagliata, che le occupava l'interno del polso.

A fasi alterne le giungevano conversazioni delle persone all'esterno della Stanza, che discutevano animatamente di qualcosa. Sentiva frasi come "una telefonata importante", "le ha chiesto cosa fosse successo", "ci saranno ripercussioni sul Progetto". Solo una volta sembrò ridestarsi, quando il dottor Jonas si fece sfuggire il nome di Yae Levin. In quel momento Eve aveva sollevato gli occhi, fissando il vetro dalla doppia faccia.

Dall'altro lato di esso, la dottoressa Iris si era affrettata a spegnere l'interfono, chiedendosi a chi diamine fosse sfuggito di lasciarlo acceso. Il modo in cui Eve sembrava riuscire a bucare il vetro col proprio sguardo l'aveva sempre inquietata, nonostante sapesse che la ragazza, in quel momento, potesse vedere solo il proprio riflesso.

La dottoressa Iris Svart era una donna estremamente cauta. Non poteva permettersi che la ragazza rimanesse bruciata dai recenti accadimenti, né che sapesse troppo di quello che stava succedendo all'esterno.

Qualche ora prima del comunicato dato all'ologiornale, Karl Abramizde in persona l'aveva telefonata per cercare di comprendere cosa fosse accaduto. La sua voce era stata melliflua e fredda come al solito, e la cosa aveva irritato tremendamente Iris.

Aveva dovuto spiegargli che una delle sue sottoposte aveva tentato la fuga portando via Eve con sé, spostandosi per qualche istante fuori dall'ala Sud del palazzo, che esulava dalle mura schermate messe in piedi per nascondere la presenza di Eve. Il risultato era stato che miliardi di persone avevano visto il Quadrante aumentare di una unità.

Far sparire una persona dai radar del mondo era stato un compito estremamente tedioso, che i membri del Progetto Stanza Bianca pensavano di essere riusciti a concludere anni prima. Ma evidentemente era bastata una sola disattenzione, una sola ragazza sconsiderata, a cancellare quella certezza. Iris ricordò infastidita le parole del Presidente.

– L'avete recuperata? – aveva chiesto, registrando solo le informazioni che gli erano servite.

– No – era stata costretta a rispondergli. – Probabilmente è fuggita nel Lethe. Non abbiamo abbastanza mezzi per avviare delle ricerche, in questo momento. Tuttavia, siamo riusciti a recuperare Eve, e adesso si trova di nuovo al sicuro nella Stanza. –

Iris sapeva che, quando si forniscono delle informazioni a qualcuno, l'ideale era porre le cattive notizie all'inizio della frase e le buone alla fine, in modo che rimanessero maggiormente impresse. Era una delle tecniche retoriche che preferiva, e che l'aveva sempre aiutata ad abbindolare il prossimo.

Tuttavia, aveva comunque sentito un rumore secco dall'altro lato del telefono: quello di un pugno che si abbatteva pesante su una scrivania. Quel semplice suono le aveva fatto comprendere che il Presidente non si era affatto bevuto il suo stratagemma.

– Se non avete i mezzi, ve li darò io. Dottoressa Svart, quella ragazza rappresenta una minaccia. Ho già dovuto tamponare la faccenda in diretta mondiale, ignorando gli avvenimenti. Ho dispiegato i miei Sorveglianti per reprimere le rivolte di quegli imbecilli che si sono subito riversati in strada. Questo per dirle quanto un solo numerino possa avermi fatto penare. – Abramizde sembrava aver perso la pazienza, e la cosa aveva colpito Iris di meno rispetto al suo solito atteggiamento calmo, che aveva sempre trovato inumano.

– Vi manderò diverse unità. Raccolga informazioni su Levin, si studi dove potrebbe essere andata, controlli i suoi ultimi contatti fuori dal Laboratorio – aveva continuato l'uomo. – E per quanto riguarda il Secondo Elemento... –

– Ci stiamo lavorando – si era affrettata a rispondere Iris, seccamente.

– Bene. Attendo presto nuove notizie. E si ricordi che tutto quello che fa, lo deve fare sotto le mie direttive. Ci siamo intesi? – aveva concluso Abramizde, tagliente.

La dottoressa Iris si era affrettata ad assentire, e aveva interrotto la conversazione. Odiava il modo in cui quell'uomo la facesse sentire una semplice sottoposta, lei che per prima aveva ideato quel Progetto diciassette anni prima, e aveva reclutato le persone migliori per metterlo in pratica.

Ricordò come, due anni prima, avesse trovato una trentina di Sorveglianti ad accoglierla fuori dal Laboratorio. Rammentò la propria rabbia, quando aveva scoperto come una talpa li avesse venduti alla Chiesa del Giudizio. Ricordò come il Presidente l'avesse minacciata di morte se non gli avesse consegnato Eve, e come lei fosse riuscita a persuaderlo di farle proseguire il Progetto secondo i propri standard, accettando di consegnargli comunque il risultato.

In qualche modo Abramizde era sceso a compromessi, ma da allora le era stato col fiato sul collo. Nel Laboratorio erano entrati due membri della Chiesa del Giudizio, che seppur fossero stimate figure della comunità scientifica, rimanevano comunque dei cani del Presidente.

Iris sospirò. In quel momento a preoccuparla maggiormente non era il fatto che l'intero pianeta fosse in subbuglio per colpa di una loro svista, ma il fatto che Eve sembrava non aver risposto come al solito alla Riforma Avanzata.

Gli screening della sua attività cerebrale erano cristallini, e non mostravano alcuna alterazione della corteccia. Eppure, la ragazza continuava a reagire al nome di Yae girandosi di scatto. Ancora una volta, la dottoressa si pentì di aver fatto avvicinare quella scellerata alla sua preziosa cavia. Il rapporto che le due ragazze avevano sviluppato doveva essere stato più profondo di quanto credesse.

La ragazza oltre il vetro si stava fissando il polso da mezz'ora. Non erano riusciti a fare nulla per cancellarle la cicatrice per tempo, e quello era un altro grosso problema. Anche facendole tutte le terapie elettro-convulsivanti del mondo, se Eve avesse continuato a incontrare quella cicatrice con lo sguardo, qualcosa le sarebbe tornato in mente.

E poi c'era la questione della "Zona Oscura". Nei suoi discorsi a volte vi erano degli elementi deliranti, come se si stesse rivolgendo a persone sconosciute in luoghi che non esistevano. Diceva frasi sconnesse e senza senso. La dottoressa Saryu Kumar, psicoterapeuta all'interno del Progetto, aveva da tempo definito quegli episodi "la Zona Oscura". E il fatto che fossero aumentati a dismisura dopo la scomparsa di Yae era innegabile.

Anche in quel momento, Iris vide che la bocca di Eve si stava muovendo in un sussurro. Accese nuovamente l'interfono, ma la ragazza parlava a voce troppo bassa perché potessero sentirla.

– Cosa stai dicendo, tesoro? – le chiese gentilmente, avvicinando le labbra al microfono. La sua voce si riverberò nella Stanza Bianca, ma Eve non si girò verso l'altoparlante. Iris non si diede per vinta e ripeté la domanda.

– Dillo anche a noi, cara. Ti piacerebbe fare qualcosa? Vorresti vedere Yae, per caso? – gettò lì, per osservare la sua reazione.

Di tutta risposta Eve fermò la sua cantilena, come se le avessero tolto le batterie dalle corde vocali. Persino la sua espressione rimase bloccata a metà. Con le dita continuò a percorrersi l'interno del polso, saggiando la cicatrice frastagliata, ancora rossa dal giorno prima. Qualcosa fece breccia nella sua mente, e riprese a parlare con più chiarezza.

– Mia sorella ha esaurito il suo Tempo. Adesso rimangono solo lo Spazio e la Vita. Senza il Tempo la Vita non può dispiegarsi. È logico – rispose.

Il gruppo di dottori l'ascoltò col fiato sospeso.

– Tutto quello che esiste si posa su tutto quello che scorre. Senza il Tempo la Vita non esiste. Adesso c'è solo lo Spazio. Con lo Spazio e basta la Vita resta ferma. Immobile – terminò Eve.

Iris non fece in tempo a chiederle altro, che la vide rimettersi a cantilenare a bassa voce, fissando un punto sul pavimento. Era di nuovo irraggiungibile, nella sua Zona Oscura.

Nell'ombra di AntaresDove le storie prendono vita. Scoprilo ora